mercoledì 7 settembre 2005

RIASSUMERE UN VIAGGIO?






Raccontare il nostro viaggio nel Kurdistan turco dal 28 luglio al 7 agosto richiederebbe ben più dello spazio che un post può offire. Bisognerebbe prima fare un’introduzione sulla tormentata vicenda del Kurdistan, patria negata e divisa tra Turchia, Iraq, Iran, Siria e Armenia. Restringendo il discorso alla Turchia, bisognerebbe parlare di come il Governo turco non abbia mai risparmiato persecuzioni, massacri e sistematiche violazioni dei diritti umani nei confronti dei 20 milioni di kurdi presenti sul suo territorio.
Si potrebbe poi iniziare parlando dei luoghi che abbiamo visitato: da Diyarbakryr, capoluogo del Kurdistan turco, fino a Bostanici, sul lago di Van, dove il Comune di Alessandria ha finanziato in questi anni la costruzione di un acquedotto. Tra le due località, molte tappe intermedie: Dersim, Mardin, Cizre, Siirt, Hasankeif. Sono nomi che in Italia dicono poco, ma chiunque prenda in mano una cartina dell’(inesistente) Kurdistan si può rendere conto di quanti chilometri abbiamo macinato in quei giorni, mangiando quintali di polvere a bordo di dolmus (i minibus turchi) che si inerpicavano per strade che il più delle volte sarebbe azzardato definire tali.
Si dovrebbe poi parlare di come il Kurdistan sia una regione militarizzata, costellata di caserme e postazioni militari, con l’esercito turco che, col pretesto di contrastare una guerriglia da poco ripresa sulle montagne, ha potere pressoché illimitato. Viene in mente la città di Dersim, nome ufficiale turco Tunceli (pugno di ferro), con i blindati che girano per le strade e le autorità militari che vietano di festeggiare il Munzur Festival, annuale raduno di musica e folklore kurdo.Anche noi italiani siamo oggetto delle attenzioni dell’esercito: si perde il conto delle innumerevoli soste ai posti di blocco per il controllo passaporti, soste che arrivano a durare anche un’ora, con magari lo spione dei servizi di informazione che ti scruta dietro i canonici occhiali scuri. E gli spioni non ti mollano nemmeno in albergo, seduti con te nella hall, appena qualche poltrona più in là, ad ascoltarti o addirittura filmarti con una minicamera che nemmeno si curano di nascondere.Si potrebbe parlare delle persone incontrate lungo il viaggio: kurdi che ti fanno capire quanto sia importante per loro che degli europei vengano a vedere e conoscere la loro situazione, soprattutto ora che la Turchia tenta di apparire presentabile di fronte all’Europa fingendo che la questione kurda non esista o sia solo l’invenzione di un pugno di “terroristi”. La questione kurda esiste ed è drammatica, come abbiamo modo di vedere con i nostri occhi e di sentirci spiegare durante i numerosi incontri con i sindaci del Dehap (il partito democratico filokurdo), le associazioni per i diritti umani o dei famigliari dei detenuti politici. E allora scopri che la Turchia non è solo Istanbul con le sue vie alla moda, ma anche il Sud-est dell’Anatolia, con le donne ancora velate, i villaggi kurdi bombardati sulle montagne e gli sfollati che si ammassano a migliaia nelle baraccopoli dei centri urbani come profughi interni senza più mezzi per sopravvivere. Presso le associazioni incontrate o nelle municipalità amministrate dal Dehap, ci vengono affidati diversi progetti o ci viene illustrato lo sviluppo di quelli che già finanziamo: progetti di tipo educativo, rivolti al crescente numero di bambini di strada, o di tipo sanitario, dal momento che le strutture spesso sono insufficienti.
Può anche capitare che accada come a Cizre, presso il confine irakeno, dove la polizia in borghese ha impedito l’accesso all’ospedale al medico della nostra delegazione e al sindaco della città che ci aveva presentato un progetto sanitario.
Dove abbiamo potuto abbiamo portato la nostra solidarietà, abbiamo osservato, cercato di capire, documentato. Ora che siamo tornati in Italia continueremo, a impegnarci per far conoscere la situazione dei diritti umani in Turchia, un tema che riteniamo debba interessare particolarmente un’Unione Europea in procinto di allargare le proprie frontiere.

Emiliano Bottacco, Ass. "Verso il Kurdistan"