Rapporto sull’udienza del 29/2/08 del processo nei confronti del sindaco di Sur, Abdullah Demirbas e del consiglio comunale della municipalità e nei confronti del sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir.
Sur è una delle sei municipalità di Diyarbakir. Il suo sindaco, Abdullah Demirbas, nel febbraio 2006 fece diffondere un questionario per chiedere agli abitanti della sua municipalità quali fossero i bisogni più urgenti. Dalle risposte raccolte emerse che uno dei problemi principali era la non conoscenza della lingua turca, l’unica che può essere utilizzata per iscritto, per cui – oltre a non comprendere il contenuto dei certificati – gran parte della popolazione non era nemmeno a conoscenza dei servizi offerti dalla municipalità.
A Sur il 72% della popolazione parla solo il curdo, ma vi sono anche altre minoranze linguistiche che parlano armeno, assiro-aramaico ed arabo. Il 22% parla anche il turco.
A seguito di tali risultati, il consiglio comunale di Sur deliberò di stampare una brochure relativa ai servizi offerti alla popolazione in sei lingue (turco, curdo, inglese, armeno, assiro-aramaico ed arabo) precisando che il turco era la lingua ufficiale. Tale delibera fu controfirmata dal sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, e venne convocata una conferenza stampa per presentare l’iniziativa.
Il Ministero dell’Interno inviò immediatamente due ispettori, i quali produssero un rapporto in cui veniva affermato che il consiglio comunale di Sur aveva approvato una delibera che avrebbe autorizzato l’utilizzo solo delle lingue non ufficiali (e non anche del turco), in palese contrasto con il contenuto della delibera stessa.
Il Ministero dell’Interno aprì un procedimento amministrativo nei confronti del sindaco e del consiglio comunale di Sur e l’ottava Sezione del Tribunale Amministrativo decise di procedere al suo scioglimento. Tale decisione è stata poi confermata dal Consiglio di Stato.
Successivamente, è stato aperto un procedimento penale nei confronti del sindaco di Sur, del sindaco di Diyarbakir e di tutti i consiglieri comunali di Sur – anche di quelli che non hanno partecipato, perché assenti, alla delibera incriminata – per violazione delle seguenti norme del codice penale:
-art. 257, che punisce l’abuso di potere;
-art. 222, che punisce chiunque violi la legge n° 1353 del 1928 sulla protezione dell’alfabeto turco. Questa legge non prevedeva in origine alcuna sanzione penale; venne approvata quando, all’indomani dello scioglimento dell’Impero Ottomano, il governo turco decise di adottare per la lingua turca l’alfabeto di tipo latino e non più quello di tipo arabo. In altre parole, la lingua rimase la stessa, ma la scrittura – in precedenza basata sui caratteri arabi – diventava a caratteri latini e per dar forza a tale innovazione fu emanata la suddetta legge. Solo con la riforma del codice penale del 2005 è stato, però, introdotto il reato di “violazione dell’alfabeto turco”, che punisce tutti coloro che utilizzano caratteri e lettere non previste nell’alfabeto turco, quali la X, la W e la Q, molto utilizzate nella lingua curda. Secondo questa interpretazione ed applicazione dell’art. 222 chiunque utilizzi o stampi un indirizzo internet (dove è obbligato a scrivere “www”) commette un reato! Dunque, anche il Ministero di Grazia e Giustizia turco, anche il governo turco, che diffondono anche con materiale scritto il proprio sito. Questa applicazione della legge 1353/28 e, conseguentemente, dell’art. 222 del codice penale è incostituzionale per due motivi: sia perché viola l’art. 26 della Costituzione (che accoglie il principio che tutti i cittadini possono esprimersi e fare pubblicazioni nelle loro lingue madri), sia perché viola l’art. 90 della Costituzione (che prevede, in caso di contrasto tra norme interne e norme di diritto internazionale, la prevalenza di queste ultime. La Turchia è parte di una serie di convenzioni che impongono il rispetto delle minoranze linguistiche ed il divieto di discriminazione su base linguistica, tra cui la Convenzione di Losanna e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Si tenga conto che quella curda è una “minoranza” relativa, visto che in Turchia ne vivono circa 20milioni);
-art. 301, il famigerato art. 301, che prevede il reato di vilipendio all’identità turca, concetto così generico da poter ricomprendere qualunque comportamento non desiderato dal governo.
Gli imputati rischiano sino a quattro anni e mezzo di carcere. E’ un processo molto importante; esistono molti altri processi contro cittadini curdi per la violazione dell’art. 222 (violazione dell’alfabeto turco), ma è la prima volta che alcuni amministratori locali dichiarino in una delibera di voler utilizzare la lingua curda per iscritto.
Il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, ha diversi processi sia per la violazione di questo articolo, che dell’art. 301 (vilipendio all’identità turca); sommando le richieste di condanna avanzate dai diversi pubblici ministeri, rischia fino a 280 anni di carcere, come egli stesso ironicamente ci dice nell’incontro successivo alla udienza.
Tornando a questa, il Giudice competente è una donna: si chiama Nurhan Aynaci. L’aula dove si tiene il processo è minuscola; al centro, vi campeggia la scritta “La giustizia è il fondamento dello Stato”. La qual cosa fa una certa impressione: non vi sarebbe stato nulla da dire se al posto di “Stato” vi fosse stato scritto “Popolo”. Ma così non è...
La distribuzione dei posti all’interno dell’aula la dice lunga sulla equità del processo: sopra un’altissima pedana siedono, uno affianco all’altro, il Giudice ed il pubblico ministero. Ciascuno ha un computer sulla scrivania. Ai loro piedi, su una pedana più bassa, siede il Cancelliere, che redige sotto dettatura del giudice il verbale di udienza utilizzando direttamente il computer. Accanto a lui, in piedi, l’usciere. Il collegio dei difensori siede dietro una piccola scrivania, lontana dalle due pedane; anche loro hanno un computer sul quale si visualizza in tempo reale ciò che il Cancelliere o il Giudice scrivono.
Nessuno degli imputati è comparso, fatta eccezione per un consigliere comunale. Questi fa una dichiarazione spontanea (riportandosi alle difese svolte dai propri avvocati ed alle dichiarazioni già rese a suo tempo al pubblico ministero). L’Avv. Muharran Erbey prende la parola e chiede di depositare due sentenze relative a processi contro il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, per violazione dell’art. 222 conclusisi con l’assoluzione.
Dopo di lui, prende la parola l’Avv. Mustafà Aysit. Parla a lungo, focalizza l’attenzione sulla manipolazione della delibera approvata dal consiglio comunale di Sur fatta dagli ispettori ministeriali, che hanno eliminato la parte relativa al riconoscimento della lingua turca come lingua ufficiale. Esibisce una copia autentica della delibera in questione. Si infervora, ritiene scandalosa la condotta degli ispettori e chiede un rinvio per depositare nuovi mezzi di prova.
Il Giudice rinvia al 13/6/08.
Incontro con il presidente dell’ordine degli avvocati (Baro), avv. Sezgin Tanrikulu
Subito dopo veniamo ricevuti dall’Avv. Sezgin Tanrikulu, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Diyarbakir. Ci viene spiegato meglio il processo in questione e ci viene illustrata la condizione degli avvocati di Diyarbakir, capoluogo del Kurdistan turco.
In una regione abitata prevalentemente da curdi, nel bel mezzo della guerra tra governo turco e PKK, nel cuore della repressione contro ogni manifestazione anche pacifica di appartenenza alla comunità curda, la professione di avvocato comporta la consapevolezza di dover fare una scelta di campo.
L’Avv. Sezgin Tanrikulu ci informa che tutti i giudici del Tribunale di Diyarbakir sono turchi, così come turchi sono i poliziotti ed i funzionari ministeriali. Difendere i curdi, importanti (come nel caso dei sindaci) o sconosciuti (come nel caso di contadini, manifestanti semplici cittadini), significa sapere di poter essere arrestati, sottoposti a procedimenti penali, finanche torturati ed uccisi. E’ quanto è già successo a tanti suoi colleghi, soprattutto a quelli – e ne sono tanti – che hanno scelto di denunciare le gravi violazioni dei diritti umani.
L’Avv. Sezgin Tanrikulu lo dice con tono dimesso e con sguardo triste. Sa che potrebbe capitare anche a lui.
A Sur il 72% della popolazione parla solo il curdo, ma vi sono anche altre minoranze linguistiche che parlano armeno, assiro-aramaico ed arabo. Il 22% parla anche il turco.
A seguito di tali risultati, il consiglio comunale di Sur deliberò di stampare una brochure relativa ai servizi offerti alla popolazione in sei lingue (turco, curdo, inglese, armeno, assiro-aramaico ed arabo) precisando che il turco era la lingua ufficiale. Tale delibera fu controfirmata dal sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, e venne convocata una conferenza stampa per presentare l’iniziativa.
Il Ministero dell’Interno inviò immediatamente due ispettori, i quali produssero un rapporto in cui veniva affermato che il consiglio comunale di Sur aveva approvato una delibera che avrebbe autorizzato l’utilizzo solo delle lingue non ufficiali (e non anche del turco), in palese contrasto con il contenuto della delibera stessa.
Il Ministero dell’Interno aprì un procedimento amministrativo nei confronti del sindaco e del consiglio comunale di Sur e l’ottava Sezione del Tribunale Amministrativo decise di procedere al suo scioglimento. Tale decisione è stata poi confermata dal Consiglio di Stato.
Successivamente, è stato aperto un procedimento penale nei confronti del sindaco di Sur, del sindaco di Diyarbakir e di tutti i consiglieri comunali di Sur – anche di quelli che non hanno partecipato, perché assenti, alla delibera incriminata – per violazione delle seguenti norme del codice penale:
-art. 257, che punisce l’abuso di potere;
-art. 222, che punisce chiunque violi la legge n° 1353 del 1928 sulla protezione dell’alfabeto turco. Questa legge non prevedeva in origine alcuna sanzione penale; venne approvata quando, all’indomani dello scioglimento dell’Impero Ottomano, il governo turco decise di adottare per la lingua turca l’alfabeto di tipo latino e non più quello di tipo arabo. In altre parole, la lingua rimase la stessa, ma la scrittura – in precedenza basata sui caratteri arabi – diventava a caratteri latini e per dar forza a tale innovazione fu emanata la suddetta legge. Solo con la riforma del codice penale del 2005 è stato, però, introdotto il reato di “violazione dell’alfabeto turco”, che punisce tutti coloro che utilizzano caratteri e lettere non previste nell’alfabeto turco, quali la X, la W e la Q, molto utilizzate nella lingua curda. Secondo questa interpretazione ed applicazione dell’art. 222 chiunque utilizzi o stampi un indirizzo internet (dove è obbligato a scrivere “www”) commette un reato! Dunque, anche il Ministero di Grazia e Giustizia turco, anche il governo turco, che diffondono anche con materiale scritto il proprio sito. Questa applicazione della legge 1353/28 e, conseguentemente, dell’art. 222 del codice penale è incostituzionale per due motivi: sia perché viola l’art. 26 della Costituzione (che accoglie il principio che tutti i cittadini possono esprimersi e fare pubblicazioni nelle loro lingue madri), sia perché viola l’art. 90 della Costituzione (che prevede, in caso di contrasto tra norme interne e norme di diritto internazionale, la prevalenza di queste ultime. La Turchia è parte di una serie di convenzioni che impongono il rispetto delle minoranze linguistiche ed il divieto di discriminazione su base linguistica, tra cui la Convenzione di Losanna e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Si tenga conto che quella curda è una “minoranza” relativa, visto che in Turchia ne vivono circa 20milioni);
-art. 301, il famigerato art. 301, che prevede il reato di vilipendio all’identità turca, concetto così generico da poter ricomprendere qualunque comportamento non desiderato dal governo.
Gli imputati rischiano sino a quattro anni e mezzo di carcere. E’ un processo molto importante; esistono molti altri processi contro cittadini curdi per la violazione dell’art. 222 (violazione dell’alfabeto turco), ma è la prima volta che alcuni amministratori locali dichiarino in una delibera di voler utilizzare la lingua curda per iscritto.
Il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, ha diversi processi sia per la violazione di questo articolo, che dell’art. 301 (vilipendio all’identità turca); sommando le richieste di condanna avanzate dai diversi pubblici ministeri, rischia fino a 280 anni di carcere, come egli stesso ironicamente ci dice nell’incontro successivo alla udienza.
Tornando a questa, il Giudice competente è una donna: si chiama Nurhan Aynaci. L’aula dove si tiene il processo è minuscola; al centro, vi campeggia la scritta “La giustizia è il fondamento dello Stato”. La qual cosa fa una certa impressione: non vi sarebbe stato nulla da dire se al posto di “Stato” vi fosse stato scritto “Popolo”. Ma così non è...
La distribuzione dei posti all’interno dell’aula la dice lunga sulla equità del processo: sopra un’altissima pedana siedono, uno affianco all’altro, il Giudice ed il pubblico ministero. Ciascuno ha un computer sulla scrivania. Ai loro piedi, su una pedana più bassa, siede il Cancelliere, che redige sotto dettatura del giudice il verbale di udienza utilizzando direttamente il computer. Accanto a lui, in piedi, l’usciere. Il collegio dei difensori siede dietro una piccola scrivania, lontana dalle due pedane; anche loro hanno un computer sul quale si visualizza in tempo reale ciò che il Cancelliere o il Giudice scrivono.
Nessuno degli imputati è comparso, fatta eccezione per un consigliere comunale. Questi fa una dichiarazione spontanea (riportandosi alle difese svolte dai propri avvocati ed alle dichiarazioni già rese a suo tempo al pubblico ministero). L’Avv. Muharran Erbey prende la parola e chiede di depositare due sentenze relative a processi contro il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, per violazione dell’art. 222 conclusisi con l’assoluzione.
Dopo di lui, prende la parola l’Avv. Mustafà Aysit. Parla a lungo, focalizza l’attenzione sulla manipolazione della delibera approvata dal consiglio comunale di Sur fatta dagli ispettori ministeriali, che hanno eliminato la parte relativa al riconoscimento della lingua turca come lingua ufficiale. Esibisce una copia autentica della delibera in questione. Si infervora, ritiene scandalosa la condotta degli ispettori e chiede un rinvio per depositare nuovi mezzi di prova.
Il Giudice rinvia al 13/6/08.
Incontro con il presidente dell’ordine degli avvocati (Baro), avv. Sezgin Tanrikulu
Subito dopo veniamo ricevuti dall’Avv. Sezgin Tanrikulu, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Diyarbakir. Ci viene spiegato meglio il processo in questione e ci viene illustrata la condizione degli avvocati di Diyarbakir, capoluogo del Kurdistan turco.
In una regione abitata prevalentemente da curdi, nel bel mezzo della guerra tra governo turco e PKK, nel cuore della repressione contro ogni manifestazione anche pacifica di appartenenza alla comunità curda, la professione di avvocato comporta la consapevolezza di dover fare una scelta di campo.
L’Avv. Sezgin Tanrikulu ci informa che tutti i giudici del Tribunale di Diyarbakir sono turchi, così come turchi sono i poliziotti ed i funzionari ministeriali. Difendere i curdi, importanti (come nel caso dei sindaci) o sconosciuti (come nel caso di contadini, manifestanti semplici cittadini), significa sapere di poter essere arrestati, sottoposti a procedimenti penali, finanche torturati ed uccisi. E’ quanto è già successo a tanti suoi colleghi, soprattutto a quelli – e ne sono tanti – che hanno scelto di denunciare le gravi violazioni dei diritti umani.
L’Avv. Sezgin Tanrikulu lo dice con tono dimesso e con sguardo triste. Sa che potrebbe capitare anche a lui.