sabato 15 marzo 2008

29.02.2008 – Incontro con il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir.

L’arrivo della vostra delegazione, in questo momento, è molto importante, ci dice, ricevendoci nel suo ufficio del palazzo municipale.
La situazione è per niente buona. In questi ultimi due anni, le scelte di politica estera della Turchia hanno avuto riflessi negativi sulla stabilità del Medioriente; l’operazione militare ancora in corso, di invasione di un altro Paese come l’Iraq, è arrivata al punto di minacciare seriamente la pace su tutta l’area.
Appare fin troppo chiaro che quest’ultima operazione militare non dipende solo dalle scelte del governo Erdogan, ma c’è una volontà internazionale che ha lavorato per questo.
Anche il comportamento dell’Unione Europea non è stato quello di sostenere la pace; l’Europa si è pronunciata contro l’intervento militare a parole, ma non nei fatti.
Il governo turco motiva le scelte tutte in funzione anti Pkk, questa è la 25° operazione militare di sfondamento in Nord Iraq.
Per risolvere la questione kurda, la soluzione militare non è la strada giusta. Al contrario, questa operazione semina morte e distruzione, fa saltare ogni , seppur minimo, tentativo di dialogo.
In tutte le città dove vivono i kurdi ci sono state reazioni violente, manifestazioni e scontri; solo a Diyarbakir, sono scese in piazza 40 mila persone.
Questa operazione si rivolge anche contro i kurdi del Nord Iraq e mira a far sentire tutto il peso della Turchia sulla vicenda di Kirkuk: la Turchia è preoccupata perché un’entità, uno stato kurdo sta nascendo ai suoi confini.
Molti giovani kurdi iracheni hanno chiesto di diventare peshmerga.
C’è una divisione tra Barzani e Talabani: i kurdi si aspettavano dai loro leader una posizione più decisa.

Il problema, poi, non può essere circoscritto alla sola operazione militare; vediamo che l’approccio alla questione kurda non muta.
L’opinione pubblica internazionale non sa quasi nulla, non si parla del conflitto in corso, né della questione kurda che viene presentata come una pura operazione terroristica.
Il primo ministro Erdogan era in Germania alcuni giorni fa: ha detto alla signora Merkel che possono integrare i turchi, ma non assimilarli, perché sarebbe un crimine contro l’umanità!
Ma il processo a cui voi avete partecipato che cos’è se non un processo di assimilazione?
La repressione oggi è molto forte, c’è un ritorno agli anni bui del ’90.
Se tutti i processi contro di me andassero in porto, io dovrei restare in carcere per 280 anni!
Attualmente ho 18 processi a carico e la stragrande maggioranza di essi è per la questione della lingua kurda.
I programmi televisivi di questi giorni, pieni di immagini forti sulla guerra in corso, provocano ondate di nazionalismo e di razzismo nei confronti della minoranza kurda; di conseguenza, da un po’ di tempo, i kurdi che vivono all’Ovest subiscono minacce ed attentati. Per cui cresce forte l’odio e la volontà separatista.

Abbiamo considerato un grande successo l’entrata dei deputati del DTP in Parlamento.
All’inizio avevamo problemi tecnici, poi li abbiamo superati, ma nel Parlamento siamo rimasti isolati. I media e la stampa indicano i deputati del DTP come dei terroristi.

Qui a Diyarbakir, c’è un ampio consenso sulle nostre posizioni; in otto anni, la città è completamente cambiata.
Credo che, alle prossime elezioni, vinceremo con il 60% dei consensi, sotto dovremo fare autocritica.
Ci sono 6 sottomunicipalità: il governo ne vuole chiudere due e unirle a Sur. Sperano di vincere a Sur e, per questo, usano la religione.

Io non credo che con la violenza ci sia la possibilità di risolvere la questione kurda.
Dobbiamo avviare il dialogo.
L’identità kurda, la lingua e la cultura kurda debbono essere praticate.
Da questo punto di vista, possiamo prendere come modello la Spagna e altri Paesi in Europa che hanno riconosciuto le minoranze e concesso ampia autonomia alle loro regioni.