giovedì 15 novembre 2007

7 novembre 2007


Incontro con Tuhad Fed di Diyarbakir

Di recente – ci dicono gli attivisti dell’associazione del detenuti politici di Diyarbakir – ci sono stati
parecchi arresti in città.
In Turchia, dal Newroz 2007 in poi, sono stati tratti in arresto 400 militanti e dirigenti del DTP, senza mettere nel conto coloro che sono stati assogettati a custodia cautelare o incarcerati per un breve lasso di tempo.
Solitamente, vengono tradotti in carceri di tipo D. Dopodichè, alla conclusione del processo, sono trasferiti altrove, specie all’Ovest, in carceri speciali di tipo F.
Le condizioni di detenzione sono molto dure.
Prima, le direzioni carcerarie accettavano, per i detenuti, anche cibarie provenienti dall’esterno, adesso non più. Anche per il vestiario, ci sono limitazioni, lo possono fornire solo le famiglie dei singoli detenuti.
Ognuno dei dirigenti di Tuhad ha circa una decina di processi a carico.
Da quando c’è stata l’unificazione delle pene tra detenuti “comuni” e “politici”, il numero dei “politici” è sceso di parecchio. Qualora però un “politico” venisse rimesso in libertà vigilata e, durante questo “regime speciale”, commetta un reato, lo stesso rientra in carcere e sconta pure la pena precedentemente comminata.
Oggi, nelle carceri turche, sono rinchiusi circa 2.500 detenuti politici kurdi, piu’ un cinquecento appartenenti alle formazioni della sinistra turca.

Ora, per i kurdi , la situazione è diventata problematica e difficile, in Europa: la questione kurda è si’ entrata nel dibattito politico europeo, ma è trattata alla stregua di una mera faccenda di terrorismo, mentre, in Turchia, sta montando un’onda nera, razzista e sciovinista.
Basti solo pensare alla campagna di stampa scatenata contro i tre deputati del DTP che sono stati accusati di connivenza con il terrorismo, per essere andati sui monti di Kandil, in qualità di intermediari, per il rilascio degli otto soldati presi in ostaggio dai guerriglieri del Pkk, e poi rilasciati senza nulla chiedere in cambio!


Incontro con le Madri della Pace di Diyarbakir

Le Madri della Pace di Diyarbakir hanno voluto innanzitutto sottolineare la situazione di tensione per le continue operazioni militari.
Una di esse, che fa parte del gruppo da poco tempo, ci racconta della sua condizione di madre, con quattro figli, e il marito in carcere in attesa di giudizio, con l’accusa di detenzione di esplosivi.
Ci riferiscono che, negli ultimi tre giorni, sono riprese in città le perquisizioni nelle case, con conseguenti arresti: venti case perquisite e una trentina di arrestati.
Chi visita i parenti in carcere non può portare loro quasi nulla e deve rivolgersi ai detenuti solo in lingua turca.

Assalti, minacce, tentativi di linciaggio sono all’ordine del giorno, frutto della vasta operazione di propaganda sciovinista in corso.
Basti pensare che, quando i combattenti kurdi hanno rilasciato gli otto soldati catturati in ottobre, il Ministro della giustizia è arrivato a dichiarare che avrebbe preferito che gli stessi soldati fossero stati liberati con un “blitz”!
Le Madri hanno protestato per tale dichiarazione e anche una madre di un soldato turco ha detto che era contenta di rivedere suo figlio vivo, che l’aveva mandato a servire la Patria, non certo per farne un martire!
Un’altra madre, che vive a Diyarbakir, ha detto che suo figlio è morto in uno scontro armato , frutto di questa guerra assurda: il figlio, a suo dire, è stato mandato in zona bellica, senza adeguato addestramento e, perciò, non pronto a combattere.
Contattata dalle Madri della Pace, ha accettato di incontrarle e ha dato loro il suo indirizzo, ma, evidentemente, era sorvegliata, perché, quando le Madri sono giunte sul posto, hanno trovato la casa circondata dai soldati e il suo telefono era stato isolato.
Ciò dimostra comunque che cominciano ad esservi dei contatti tra le madri dei soldati e le madri dei combattenti.