sabato 14 aprile 2007

Relazione viaggio in Kurdistan (gruppo acqua)

Una breve ed indispensabile premessa. Il movimento ecopacifista internazionale, pur nei suoi limiti e contraddizioni, sta muovendosi su tre grandi direttrici, che rappresentano le maggiori emergenze a livello planetario.

La prima è quella della guerra permanente al “terrorismo” in nome della difesa degli “interessi vitali” dei Paesi ricchi, impiegando e dilapidando immense risorse altrimenti destinate ai piu’ elementari bisogni di un’umanità sempre più dolente e disperata.

La seconda riguarda l’ormai costante e drammatica mutazione climatica planetaria, alimentata con criminale e cieco cinismo dai globalizzatori di ogni specie, per garantirsi il massimo del pro-

fitto dallo sfruttamento sistematico e spietato degli umani e della natura.

La terza, intimamente interconnessa e complementare alle precedenti, riguarda il bene primario, assoluto ed inalienabile che è l’acqua.

Noi, seguendo un percorso globalizzatore inverso, dato che l’informazione ufficiale globalizzata è silenzio e menzogna, vogliamo sapere ciò che accade dall’altra parte del mondo, per contribuire a cambiarlo.

Ecco perché è importante conoscere, ad esempio, i devastanti ed insensati progetti di sfruttamento idrico nel Kurdistan turco.

Il progetto GAP prevede una trentina tra dighe ed impianti idroelettrici in Anatolia, denominazione regionale che il regime turco vuole, al posto del termine proibito Kurdistan.

Si tratta semplicemente di imbrigliare gli storici fiumi Tigri ed Eufrate, i quali diedero origine alle varie civiltà mesopotamiche. Il tutto inquadrato in un delirante progetto di trasformare l’area in un gigantesco complesso agricolo-industriale-abitativo, in puro stile speculativo e globalizzatore.

Ora toccherà al Tigri, con la gigantesca diga di Ilisu.

Un primo progetto, risalente ad una decina d’anni orsono, a cui partecipava la Banca mondiale e l’impresa italiana Impregilo, decadde. Ma ora è ripartito alla grande, con la partecipazione di imprese tedesche (fra cui la Siemens), austriache e svizzere. Di alcuni giorni fa è la notizia, molto contestata, che il governo tedesco ha concesso il benestare alle famigerate “agenzie di credito all’export” per l’erogazione dei finanziamenti alle imprese coinvolte.

Per cercare di arginare il disastro, abbiamo costituito la commissione “Acqua e dighe” nell’ambito delle associazioni italiane che operano e solidarizzano con il popolo kurdo di Turchia.

Durante i nostri recenti incontri con la locale società civile kurda, in occasione del Newroz, abbiamo incontrato ingegneri, biologi, archeologi. Tutti estremamente preoccupati per le gravissime conseguenze che tale opera avrà sotto vari aspetti.

Quello politico innanzitutto. Qui siamo a poca distanza dai confini iraqueno e siriano, e non ci vuole una mente eccelsa ad immaginare cosa accadrebbe se la Turchia chiudesse quasi del tutto i rubinetti ai due Paesi. Come se l’area non fosse già abbastanza coinvolta in conflitti e tensioni che tutti conoscono. Cosa non trascurabile, il fondato sospetto che la Turchia abbia sottoscritto accordi segreti di forniture idriche ad Israele, Paese vorace di acqua e non solo…

Conti alla mano, gli ingegneri sostengono che i costi e le dimensioni della diga sono assoluta-

mente sproporzionati rispetto alla resa finale. Almeno 55 mila persone saranno sradicate ed evacuate dall’allagamento di 200 kmq di estensione.

Tra gli abitanti della fantastica millenaria città di Hasankeyf, scavata nella roccia e a picco sul Tigri, un autentico gioiello, patrimonio mondiale dell’umanità, proposto all’Unesco da molti, ma non dal regime turco, unico soggetto deliberante. Una cultura che vive da 12 mila anni! Senza contare gli innumerevoli siti archeologici, circa 300 (individuati sul 30% dell’area sommersa!), ma

scavati solo in minima parte (14). Per il regime, si potrebbero trasferire altrove gli elementi monumentali più importanti di Hasankeyf, ma gli esperti sostengono l’impraticabilità dell’intervento, causa la friabilità dei materiali in oggetto (non è come per i templi di Abu Simbel in Egitto!). Cosi’ pure pretenderebbe che nei sette anni previsti per la realizzazione della diga, si dovrebbero completare gli scavi di tutti i siti archeologici, impresa assolutamente inattuabile per chi opera sul campo.

Tutto verrà sommerso.

Totalmente devastanti le implicazioni ambientali e naturalistiche.

Il mutamento radicale del clima arido attuale, oltre alla stagnazione di una grande massa d’acqua, porteranno sconvolgimenti all’attuale biodiversità animale e vegetale.

Molte specie scomparirebbero.

Le specie che da millenni, ogni anno, migrano lungo lo splendido corso del Tigri, non lo faranno più. Tra di loro la cicogna comune e la rarissima cicogna nera.

Molte specie di rapaci vivono tra le grotte e i dirupi di Hasankeyf. A tal fine si richiede l’intervento di WWF e UICN.

Ovviamente noi ed altri soggetti della società civile europea, ci stiamo attivando affinché i governi nazionali e la UE premano sui governi turco e quegli stessi implicati con le imprese costruttrici, per desistere da quello sciagurato progetto.

Ancora una volta, ecco palesata la dimostrazione che l’Europa del business surclassa decisamente la retorica dell’Europa dei popoli!

Ecco perché abbiamo partecipato alla manifestazione dello scorso 23 marzo ad Hasankeyf, dove sono convenute tutte le delegazioni internazionali presenti al Newroz 2007. Abbiamo pian-

tato alberi come testimonianza ed impegno per la salvaguardia di questo pezzetto di pianeta, cosi’ come faremmo per qualsiasi altra parte di esso. Non ne abbiamo un altro di scorta!

Con un blitz alla Greenpeace, due di noi, superando un’area interdetta al pubblico, stendemmo uno striscione di una decina di metri, da un finestrone a picco sul Tigri, con la scritta in inglese e in turco: “Lasciate scorrere il Tigri”. Il tempo di fotografarlo e riprenderlo da fotografi freelance e

Tv culturali come “Arte”, prima che la polizia, presente in forze ma in borghese, lo rimuovesse.

Purtroppo, a differenza della manifestazione estiva dello scorso anno, la presenza kurda è stata minima, considerando il Newroz ed una non sufficiente divulgazione, nonché il periodo di nuova repressione che il regime sta attuando. A tal fine parlano alcune centinaia di arresti effettuati nelle varie località del Newroz, alcuni dei quali assistemmo a Diyarbakir.