Report di Giovanni Caputo, foto di Simone Leddi, membri della delegazione italiana nel Kurdistan turco.
Siamo giunti a Kars (Qers, in kurdo) il 6 agosto, in serata, dopo aver visitato nel pomeriggio le splendide vestigia archeologiche del passato armeno, ad Anikőy.
Sulla collina che sovrasta Kars i Selgiuchidi costruirono un castello (risalente al 1153, fu successivamente ampliato nel 1579), dalle cui mura si può osservare in veduta panoramica l’intera città, attraversata dal fiume Kars Cayı. Nel 1356 essa subì l’invasione dei mongoli. Uno storico episodio recente risale invece al 1978: i socialisti ottennero alle elezioni di guidare l’amministrazione locale e issarono la loro bandiera rossa sul pennone del castello; quell’importante successo politico fu poi spazzato via dalla repressione conseguente al golpe del settembre 1980.
L’attuale sindaco di Kars appartiene al partito di governo (AKP), ma ha suscitato discussioni per il suo voltafaccia politico: in passato era stato infatti tra i fondatori del partito filo-kurdo DEP (nel quale, prima che esso fosse dichiarato illegale, militava Leyla Zana).
Nella mattinata del 7 agosto incontriamo Mahmut ALINAK, che presiede da sette mesi la sezione del Partito della Società Democratica (DTP) di Kars. A carico dei dirigenti del partito si aprono processi con mle motivazioni giuridiche più svariate e pretestuose: da quando guida il partito a Kars, le autorità turche hanno già aperto otto processi nei confronti di ALINAK. Ci riceve assieme a una ventina di funzionari locali del partito, tra i quali anche una donna. Esordisce ringraziandoci di essere giunti in delegazione a Kars. Si dice felice non solo per il popolo kurdo, ma anche per l’umanità intera che esistano amici come noi, disposti a giungere fin lì e poeticamente ci definisce “stelle che illuminano la buia notte attuale dell’umanità”. Non si esime, tuttavia, da un appunto critico allo stato italiano, che a suo avviso avrebbe potuto fare di più per dialogare con Őcalan e aiutarlo, quando il leader del popolo kurdo si trovava in Italia.
ALINAK rammenta che a Kars abitano varie popolazioni (turchi, azeri, armeni, kurdi, Terekeme, Gurcu,…) e da lunghissimo tempo è sviluppata lì l’abitudine alla coabitazione tra varie etnie e gruppi di differente credo religioso (Aleviti, Terekeme, Azeri,…). La città è d’origine armena; ALINAK proviene da un villaggio armeno della zona: a suo dire per i kurdi del luogo è cosa normale considerare il popolo armeno come legato da fraterna amicizia con il popolo kurdo.
Ci parla anche d’una manifestazione già indetta, da svolgersi in settembre per sollecitare l’apertura della frontiera tra Turchia e Armenia, tuttora osteggiata sia dal governo di Ankara che da quello azero di Baku. Racconta poi del persistere dell’oppressione verso la lingua e la cultura kurda da parte dello stato turco: esso ha dichiarato al mondo intero d’aver liberalizzato l’uso della lingua kurda e le manifestazioni culturali, ma di fatto con grande violenza porta ancora avanti la sua linea politica repressiva. Si pensi che sia nel 2005 che nel 2006 in occasione del Newroz erano stati distribuiti volantini a Kars, in lingua turca: i poliziotti, tuttavia, notando che essi contenevano la lettera W (inesistente nell’alfabeto turco), li hanno fatti bruciare tutti davanti alla sede locale del DTP. Riguardo a tale evento è stato inoltrato un ricorso, il cui iter giuridico tuttora procede, alla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo.
ALINAK rammenta che da secoli la popolazione kurda utilizza il turco senza farsi problemi; egli stesso ha utilizzato tale lingua negli otto anni in cui è stato deputato all’Assemblea Nazionale turca. Nell’unica occasione in cui, durante quel periodo, furono pronunciate (da Leyla Zana nel 1991) frasi in lingua kurda al Parlamento di Ankara, ciò fu considerato un fatto d’enorme gravità, alla stregua d’un omicidio. A seguito di ciò ALINAK fu tenuto agli arresti per 9 mesi e 10 giorni, prima d’essere assolto con Serri Sakik e Ahmet Tűrk; altri parlamentari kurdi (Leyla Zana, Hatip Dicle,…) furono invece condannati a 15 anni di carcere.
Eppure la popolazione è abituata a parlare in kurdo nelle conversazioni della vita quotidiana, ma anche a esprimersi scrivendo in turco (ALINAK è molto noto come romanziere, in Turchia). I kurdi non hanno problemi a relazionarsi con la popolazione turca; sono invece i dirigenti statali turchi che continuano a portare avanti una linea politica repressiva, ispirata da violenza e inimicizia. Ecco perché a Kars il DTP opera “all’interno d’un cerchio di fuoco”. Quando i funzionari del partito restano silenziosi e si astengono dallo studiare e rivendicare i propri diritti democratici, sono tollerati dalle autorità; ma quando rivendicano per il popolo kurdo il godimento di diritti in condizioni d’uguaglianza con il resto della popolazione, sono definiti traditori e separatisti o addirittura bollati come terroristi. ALINAK fornisce un esempio: si è progettato di organizzare un evento musicale e il KAYMAKAM (prefetto cittadino) non ha concesso l’utilizzo d’una sala. In simili modi si rende difficile ai kurdi lo svolgimento di attività pienamente democratiche, negando gli spazi che sono concessi invece agevolmente ad altri.
ALINAK rammenta un paradosso: se in pubblico mi esprimo in inglese, non c’è alcun problema, ma se pronuncio qualche parola in kurdo, le autorità turche si levano compatte e vengono aperti processi. Per gli altri gruppi (azeri, Terekeme,…) il problema non si pone, poiché essi utilizzano abitualmente la lingua turca. E persino ai georgiani, a Kars, non accade nulla di male se in discorsi pubblici ricorrono alla loro lingua madre. Per i Kurdi, invece, risulta problematico persino tenere una conferenza stampa in lingua turca. Ciò vuol dire che è in atto un tentativo delle autorità di “soffocare il DTP”. Esso viene perseguitato perché è ritenuto vicino alla guerriglia del PKK. Sono ormai numerosi i giovani di Kars che hanno scelto di recarsi in montagna per unirsi alla guerriglia: non si sentivano più liberi di vivere a Kars. ALINAK racconta d’essersi recato di recente a incontrare un dirigente responsabile della sicurezza in città e d’avergli detto: “State forzando i giovani ad andarsene in montagna. Questa è l’emblematica e sconcertante risposta che ha ricevuto: “Ne siamo contenti; se si recano in montagna, faremo poi operazioni militari contro di loro!”. ALINAK è molto preoccupato che i giovani scelgano di abbandonare gli studi universitari o di accantonare il loro talento artistico per recarsi in montagna: del resto sono le autorità, mettendo in atto “furberie di vario genere”, a costringere i giovani ad abbandonare gli studi per recarsi a combattere.
ALINAK sostiene che il DTP compie notevoli sforzi per stabilire rapporti con la sinistra turca: ovviamente lo fa nei confronti di movimenti politici e sindacali che agiscono in ambito legale (esempi: la Piattaforma degli Oppressi e il partito EMEP, che pubblica il giornale EVRENSEL)., ma non intrattiene alcun tipo di rapporto con gruppi della sinistra illegale. Egli ci ricorda che il DTP non é un partito borghese, né nazionalista; esso fa parte della sinistra democratica e internazionalista.
La Questione Kurda non è unicamente riducibile alla possibilità di utilizzare o meno la lingua kurda e ciò è ben noto alle autorità turche, propense a piegare i kurdi anche dal punto di vista economico: a tale scopo prelevano ingenti risorse (petrolio, acqua, minerali,…) dalla regione sud-orientale.
Gli viene chiesto se valse la pena che nel 1991 Leyla Zana parlasse in lingua kurda al Parlamento (ne conseguì infatti l’estromissione totale di parlamentari kurdi dal Parlamento di Ankara e pertanto la perdita di rappresentanza politica): ALINAK risponde che senza quel gesto la Questione Kurda avrebbe continuato a persistere, obliata e irrisolta; pertanto si trattò d’un atto doveroso che valeva la pena compiere. A detta di ALINAK tuttavia, le autorità turche non vogliono risolvere la Questione Kurda e pertanto compiono operazioni armate, anche perché il commercio di armamenti è redditizio e si mantiene tale soprattutto se cresce la conflittualità. Ricorda che la guerra genera anche fama: molti generali in pensione sono divenuti assai famosi e anche in questo periodo sono intervistati frequentemente; viene chiesto loro soprattutto di spiegare in che modo combattevano contro i kurdi quando erano in servizio attivo.
Dopo sei anni di cessate-il-fuoco unilaterale, sono state riprese le armi: lo stato ha forzato i guerriglieri a riprendere le armi. Purtroppo anche i soldati turchi figli di famiglie povere muoiono a causa del conflitto, ma lo stato turco vuole che il sangue continui a scorrere. Solo i politici che agiscono sul piano civile, a detta di ALINAK, sono in grado di fermare tale spargimento di sangue.
Il DTP di Kars intende attuare una importante mobilitazione civile, con attività pacifiche, per “obbligare” le autorità turche al rispetto della democrazia: “Ci impegneremo per essere più avanzati di Mohandas Gandhi”, chiosa ALINAK.
L’azione civile avrà effetto paralizzante per lo stato: “si costruirà un muro tra stato e popolo e il tal modo saranno distrutti i punti di contatto tra il sistema dominante e il popolo”. L’azione politica non sarà più impostata sui discorsi, e pertanto sarà bene osservare quanto avverrà a Kars nei prossimi mesi, in particolare tra ottobre e novembre, quando si scorgeranno i primi segnali dell’iniziativa pacifica di un movimento democratico. “Si distruggerà una situazione squilibrata che tuttavia la Turchia ancora definisce come equilibrio”. Non verranno più utilizzati i fondi dello stato e con esso verrà sospeso ogni tipo di rapporto: i cittadini non si recheranno all’anagrafe né in tribunale né nelle sedi della Jandarma, non invieranno i ragazzi a scuola e distruggeranno le loro carte d’identità. Tutti, uomini e donne, assumeranno nomi comunissimi: Ahmet e Ayşe, per significare che non hanno più bisogno delle carte d’identità rilasciate dalla Repubblica Turca.
Si fonderanno in seguito propri uffici economici, scuole e altre istituzioni, rompendo ogni rapporto con l’attuale stato. In ottobre vi saranno i primi segnali: per tre giorni nessuno si recherà negli uffici statali e la popolazione di Kars non prenderà parte al l censimento programmato. Per fare tutto ciò si è atteso a lungo che maturassero buone condizioni; in settembre l’iniziativa verrà annunciata alla popolazione di Kars per chiedere il sostegno popolare: sarà promossa una fiaccolata che illumini l’intera città di Kars con le proprie fiammelle. Poi l’iniziativa sarà anche illustrata alla sede del DTP, ad Ankara, come proposta, in modo tale che nei prossimi tre anni simili azioni si propaghino nell’intero Kurdistan e il resto del mondo ne scorga gli effetti.
L’iniziativa non avrà nulla in comune con quelle della guerriglia. Il DTP di Kars vuole fermare lo spargimento di sangue con azioni pacifiche e punta a raggiungere e interessare anche la popolazione turca, che già ha mostrato di gradire i primi volantini distribuiti al riguardo. “Lotteremo pacificamente fino alla fine; si creerà una nuova situazione e allora anche il PKK abbandonerà la lotta armata, poiché essa non sarà più necessaria. La lotta armata ha avuto finora la funzione di far conoscere la Questione Kurda al mondo, ma se ne desidera il superamento. Essa è però al momento ancora di peso rilevante poiché l’azione di lotta civile è ancora debole e in fase nascente. La lotta civile è pero la nuova strategia e quando avrà successo, farà sì che si chiuda la fase della lotta armata”.
ALINAK aggiunge: non si sa quanti siano esattamente i kurdi e ancora si dice che ve ne siano in Turchia venti milioni. Manca però ancora un censimento kurdo veritiero e probante, al quale poter fare riferimento. A Kars, ad esempio, non può dirsi con certezza quanti kurdi vi siano.
Il poeta Ali Boçnak, noto anche nella regione come divulgatore e studioso della letteratura kurda, interviene nel dibattito per dire che scienza e tecnologia sono già molto sviluppate nel mondo mentre la democrazia è ancora insufficiente; aggiunge che molti stati hanno contribuito al massacro dei kurdi e a determinare la loro divisione fra quattro Paesi; pertanto quegli stessi stati devono ora fare qualcosa per rimediare e devono lottare davvero per far sì che si affermi la democrazia.
ALINAK: “Non ci accorderemo per fare pace con le autorità statali, ma proseguiremo questa forma di lotta pacifica fino in fondo. Ad ogni modo, il nostro problema non è con la popolazione turca. Noi toglieremo allo stato la maschera di sangue che esso indossa. Lo stato non ci concederà mai i nostri diritti, ma noi li conquisteremo con la lotta pacifica, mettendo lo stato nell’impossibilità di funzionare. Poi formuleremo anche richieste al PKK per la graduale cessazione della lotta armata. Siamo consapevoli che militari, forze paramiliari e reparti addetti alla contro-guerrriglia punteranno a uccidere i capi di questo movimento civile; sappiamo infatti che lo stato teme enormemente la lotta in forme civili e pacifiche, poiché anche molti cittadini turchi sono d’accordo o in sintonia con essa”.
ALINAK abita alla periferia di Kars e fino a due mesi fa era considerato l’amico buono di tutti i bambini del suo quartiere. Inscenò anche, tempo fa una forma di protesta nei confronti dello stato con “scatole rumorose” (sul modello delle proteste attuate in Argentina contro la situazione economica, negli anni scorsi, ricorrendo alle pentole di casa): tutti i bambini del quartiere lo sostennero. In seguito, però, alcuni bambini di età compresa tra i dieci e i dodici anni sono penetrati in casa sua e hanno rubato praticamente tutto. Egli li giustifica: lo hanno fatto perché sono poveri e miseri, ma anche perché non sono istruiti; ciò comporta però un forte rischio: che da adulti vengano poi considerati dei criminali dalla società turca. ALINAK è pertanto ancora incerto su come comportarsi nei loro confronti: ha iniziato una forma di protesta, evitando di parlare con loro, ma non può di certo ignorare l’accaduto, poiché altrimenti quei bambini penserebbero di aver agito bene in casa sua.
Conclude l’incontro con la nostra delegazione esprimendo due nobili auspici: che i kurdi ricevano aiuto dagli europei per impiantare progetti a sostegno di quei bambini poveri e scarsamente istruiti; e che la “protesta delle scatole rumorose” possa ripetersi in futuro di fronte a edifici pubblici, dal Kaymakamlık ai tribunali alle caserme della Jandarma. “Chi potrà resistere al rumore della pace”?
Giovanni Caputo
(agosto 2006)