mercoledì 23 agosto 2006

4 – 5 agosto 2006 VAN-HASANKEYF-DOGUBAYAZIT: UN VIAGGIO NEL VIAGGIO.




SOLIDALI CON I POPOLI DELLA REGIONE CONTRO LA MOSTRUOSA DIGA DI ILISU (PROGETTO GAP)
di Franco Casagrande

Finalmente si parte (da Van). Anche se in ritardo sui tempi previsti, dato l'intenso programma quotidiano di incontri con la società civile kurda, inframezzati da un po' di turismo ed acquisti “responsabili”.
Sette componenti su quindici, della delegazione italiana pacifista e solidale nel Kurdistan turco, hanno deciso di partecipare all'inattesa manifestazione ad Hasankeyf, per solidarietà militante e condivisa, contro il devastante mostro della diga di Ilisu, indetta dalla società civile kurda ed in misura minore, turca.
Ci ricongiungeremo (a Dogubayazit) al resto della delegazione fra un paio di giorni, per proseguire insieme alla fase finale del viaggio.
Abbiamo persino preparato uno striscione, curato dal nostro caro ed insostituibile accompagnatore Aladdin, il quale ancora una volta si presterà con totale dedizione a prenderci cura di noi, per questa iniziativa particolare ed imperdibile. Esso recita, in turco, kurdo, italiano ed inglese: “Giù le mani da Hasankeyf!”, firmato come “Solidarietà italiana”.
Pur consapevoli della faticaccia che avremmo affrontato, partiamo entusiasti, certi che la nostra imprevista presenza potrà essere da stimolo per l'organizzazione ed i partecipanti, nonché deterrente per eventuali e sempre possibili provocazioni del regime turco.
Scendiamo con il nostro minibus dall'altopiano dell'immenso lago di Van, verso le lande infuocate di Siirt e Batman. Lungo la strada, ad una sosta ritroviamo la sindaca di Bostanici con la sua delegazione, tutti con la stessa meta: Hasankeyf. Sappiamo dell'adesione di quasi sessanta sindaci kurdi alla manifestazione, dei quali molti saranno presenti. Dopo la petrolifera città di Batman notiamo un insolito ed intenso traffico di auto e minibus. Tutti verso la manifestazione. E' ormai tardo pomeriggio.
Le luci e le ombre del vespero rendono ancora più magica la suggestione della valle del Tigri, carica di millenni di storia e di civiltà. Siamo arrivati all'antichissimo sito archeologico di Hasankeyf, patrimonio mondiale dell'umanità.
Anche per chi vi si è recato più volte, l'emozione è sempre viva, come se fosse la prima volta: le rovine dell'antico ponte, il bagno turco, il minareto con alla sommità i suoi eterni, splendidi abitanti: una coppia di cicogne con il loro nido. E l'immenso costone a picco sul fiume, da dove dominano le caverne e le rovine di questa fantastica città.
Essa dovrebbe venire sommersa da decine di metri d'acqua, unitamente ad altri importanti siti archeologici e molti villaggi, con diverse migliaia di abitanti, i quali sarebbero costretti all'emigrazione.
Il precedente tentativo di realizzazione di questo famigerato progetto GAP, inutile, costoso, devastante e pericoloso, sembrava ormai scongiurato. Basti pensare cosa significhi imbrigliare i fiumi Tigri ed Eufrate in un'area già estremamente critica,
carica di tensioni e conflitti.
Non ci vuole una mente sopraffina per intuire le conseguenze della chiusura dei rubinetti a Siria ed Iraq. Il tutto inquadrato in una logica di dominio, monopolio e controllo di un bene primario e strategico come l'acqua.
Nel precedente progetto figuravano tra le imprese costruttrici l'italiana Impregilo (quella della TAV e del Ponte sullo Stretto), nonché la Banca Mondiale come ente finanziatore (ovviamente di progetti devastanti ed insensati, invece di quelli indirizzati ad un autentico sviluppo, cosa di cui questa parte del mondo avrebbe grande necessità). Purtroppo il progetto è ripartito alla grande, come una spaventosa metastasi, annunciato dal gongolante governo turco. Questa volta sono presenti come imprese costruttrici: la multinazionale tedesca Siemens (grandemente impegnata con gli armamenti), una svizzera ed una austriaca. Come se la Turchia volesse ripristinare antiche alleanze con gli imperi centrali, per realizzare i suoi bassi e pericolosi scopi.
Assistiti dalla luce della luna piena, ci rechiamo al grande spiazzo della manifestazione, verso il grande palco, da dove cominciano ad alternarsi gruppi rock ed etno-folk. Ci facciamo strada nella moltitudine della folla (di alcune migliaia di persone, moltissime giovani), con il nostro striscione, suscitando sorpresa ed applausi. Sotto il palco veniamo fotografati a raffica, seminascosti da quella striscia di stoffa così espressiva. Poi lo appendiamo al palco ed iniziano le pressanti domande della gente: Da dove venite? Di quali associazioni fate parte? Intanto gli speakers parlano di noi, della nostra presenza solidale così inattesa, suscitando l'entusiasmo della folla. Ritroviamo vecchi amici, tra cui i sindaci di Diyarbakir, Bostanici, Cizre, Sirnak, Nusaybin, ecc. C'è persino la sindaca della lontana Dogubeyazit, meta del nostro ritorno e ricongiunzione con il resto della delegazione. Ritroviamo gli amici del Cevder, associazione culturale ed ambientalista di Van. Incontriamo pure ambientalisti e pacifisti turchi, essenziali per mantenere il dialogo.
Questa intensa partecipazione da parte dei kurdi e non solo, significa che c'è una parola sola sui temi della tutela dell'ambiente, della natura e della storia, in questa parte del mondo così preziosi ed irripetibili.
Sono elementi cari ed imprescindibili per popoli che nei paesi occidentali vengono spesso ritenuti arretrati e sottosviluppati...
Ed il tutto si collega intimamente con l'aspirazione al ripudio della guerra, alla giustizia ed al diritto dei popoli alla pace ed alla fratellanza.
Percepiamo insieme a loro che la nostra madre terra è in grande pericolo, per le brame di potere e di rapina di potenti gruppi economico-finanziari, ed ovviamente lobby politiche, che tutti conoscono.
Ma noi non ci faremo “suicidare!”
Sul palco si susseguono interventi, tra cui quello del sindaco di Diyarbakir. La folla ad intervalli scandisce slogan per la libertà propria e per “Apo” Ocalan.
La stanchezza si fa sentire. Cerchiamo un posto per dormire (non ci sono le tende di cui si sentiva parlare). Rimediamo un giaciglio su un “text”, terrazze di legno sopra palafitte, in riva al Tigri, che improvvisati ristoratori hanno genialmente realizzato.
Prima di metterci a “cuccia”, beviamo un cayi (l'onnipresente the' kurdo-turco), assieme alla numerosa delegazione di Nusaybin, città del nostro compagno Aladin, presente il sindaco.
Dopo una tranquilla (ma corta) notte di riposo, ci risvegliamo con la luce radente di Hasankyef, ritrovando alcuni amici sindaci e di associazioni kurde.
Ci prepariamo per il nostro viaggio di ritorno a Dogubayazit, dove ci aspetta la montagna sacra Agri Dagi, ovvero il Monte Ararat, consci che questa esperienza ci ha arricchiti di umanità e consapevolezza.

Franco Casagrande, per la delegazione italiana in Kurdistan