domenica 15 agosto 2010

Secondo Report dal Paese che non c’è

Dopo il precedente report, inviato il 31 luglio, ecco qui i successivi sviluppi del viaggio della delegazione italiana in Kurdistan che si trova attualmente (4 agosto 2010) a Van, nell’ambito del : “Viaggio nel Kurdistan turco, attraverso il Paese che non c’è. Da Diyarbakir, fino a Dogubeyazit, ai piedi del monte Ararat”, organizzato da : “Verso il Kurdistan Onlus” di Alessandria, iniziato il 27 luglio e che continuerà fino al 6 agosto:


Dopo la permanenza a Şırnak (cfr. primo report) la delegazione è salita verso Nord, a Uludere. Hanno parlato con il sindaco, Tukran Sincar, che ha raccontato un singolare episodio, quasi identico a quanto raccontato ad altri italiani, in primavera, dal sindaco di Başkale (poco lontano da Van). La popolazione ufficialmente censita presso i registri governativi era di 11.000 abitanti, poi da un giorno all’altro era calata a 7.380. No: nessuna epidemia o esodo di massa: c’erano appena state le... elezioni. Infatti da un po’ di tempo in Turchia, per ripartire equamente e senza clientelismi i finanziamenti statali alle municipalità, tali finanziamenti vengono assegnati secondo un criterio oggettivo ed imparziale: il numero di abitanti residenti.
Ma talvolta accade un fenomeno assai meno oggettivo ed imparziale: se in un comune vince il partito kurdo, dall’oggi al domani il numero di abitanti censiti cala inspiegabilmente, e proporzionalmente adesso cala anche l’ammontare dei finanziamenti statali.
I quali ad Uludere vengono poi ulteriormente ridotti con detrazioni a causa del debito pubblico di 800.000 TL ereditato dalla precedente amministrazione.
Ciononostante la nuova amministrazione comunale di Uludere insediatasi 4 mesi or sono dopo la vittoria elettorale del partito kurdo ha avuto la capacità, partendo quasi da zero, di intraprendere molte iniziative: acquedotto, muri anti-frana, videoteca e centro giovanile, pescicultura, copertura fognaria del 90% dell’area urbana, opere di canalizzazione e distribuzione dell’acqua potabile.
Da Uludere la delegazione, senza incontrare (contrariamente alle previsioni) particolari controlli stradali e posti di blocco, ha raggiunto Hakkari, dove però la situazione era assai tesa: due blindati erano fatti bersaglio di sassaiole dai tetti, ogni giorno si svolgevano scontri con i manifestanti in diversi luoghi (anche a Yüksekova la delegazione ha visto scontri di strada, ragazzi con il volto coperto che lanciavano sassi alla polizia, barricate per strada).
Uno dei principali argomenti che la delegazione ha affrontato al Municipio di Hakkari è stato il progetto di mercato coperto per i venditori ambulanti, progetto attualmente in fase di realizzazione con i finanziamenti offerti dalla medesima “Verso il Kurdistan Onlus” di Alessandria (che in questo incontro ha versato direttamente altri 10.000 Euro); il progetto trae origine dalla difficile situazione dei venditori ambulanti (sfollati dai villaggi distrutti dall’esercito nel decennio 1985-95, venuti ad ingrossare la popolazione inurbata, in condizioni di disoccupazione o precaria occupazione: molti hanno cercato di sopravvivere facendo i venditori ambulanti in strada, con gravi disagi anche dovuti al clima rigido di quell’area montana in alta quota); si vuole offrire ad essi un luogo salubre ed idoneo per l’esercizio del loro mestiere.
Altri progetti in corso della municipalità di Hakkari sono un parcheggio per automezzi ed un parco giochi.
Ma gli argomenti trattati nell’incontro all’Associazione per i Diritti umani (IHD) sono stati di natura più drammatica. Sono state mostrate le foto dei guerriglieri decapitati dai militari, e dei cadaveri delle donne il cui corpo era stato stuprato dai militari dopo averle uccise.

Solo nella zona, dopo la fine della tregua (1 giugno) sono morti 60 guerriglieri ed un numero maggiore di militari. I corpi dei guerriglieri, contro ogni richiesta dei familiari, non vengono consegnati alle rispettive famiglie, ma seppelliti in una fossa comune. E tale sepoltura non avviene (come invece prescrive la normativa) dopo 15 giorni, in modo da permettere ai famigliari di far visita alle salme, ma appena due giorni dopo.

Drammatica anche la situazione dei minorenni. A Bitlis un bambino di 10 anni, incarcerato per due mesi per il lancio di sassi, è stato messo nel reparto dei detenuti comuni, subendo un pesante trauma. Ad Hakkari e nei villaggi vicini, in carcere ci sono 136 giovani tra i 14 ed i 20 anni, di cui 40 condannati a pochi anni di pena, ma tra i 10 ed i 15 giovani condannati a pene dagli otto fino ai dodici anni.
A Van, per offrire un sostegno, è stata organizzata la vendita dei quadri dipinti in carcere dai detenuti (anche l’associazione di Alessandria ha contribuito).
A Yüksekova la sindaca ha raccontato un fatto assai raccapriccante. In Iran, oltre a 5 condannati kurdi iraniani, sono stati impiccati anche 4 condannati turchi di origine turca; le famiglie, che abitano in Turchia, hanno chiesto di poterne riavere le salme, e l’Iran ha risposto che esige, come condizione, che i familiari rimborsino allo Stato iraniano la paga del boia, il costo della corda dell’impiccagione, e le caramelle distribuite alla popolazione che assisteva all’esecuzione.
La sindaca ha inoltre parlato del reclutamento dei ‘guardiani di villaggio’ (le milizie assoldate dallo Stato turco, reclutando kurdi che accettano di ‘collaborare’, come milizie contro la guerriglia). Moltissimi di essi provengono dai villaggi bruciati dall’esercito, accettano perché spinti dalla disperazione, in cambio della paga che ricevono in cambio, ma poi in maggioranza votano... per il partito kurdo.
Per assistere le famiglie dei guerriglieri uccisi (famiglie che devono sopravvivere senza ormai più un capofamiglia che le sostenga) è stata costituita una associazione locale: Meya Der. La delegazione italiana, esprimendo la propria solidarietà, ha assicurato che nel prossimo Newroz sarà là: a Yüksekova.
A Şemdinli la delegazione ha incontrato il sindaco Sedat Tore, ventisettenne: il sindaco più giovane di tutta la Turchia. Ma non è il suo solo ‘record’: in appena un anno e quattro mesi di mandato, ha accumulato 34 procedimenti penali a suo carico e richieste di pena per 500 anni di carcere.
Şemdinli si trova in un’area assai difficile, un sottile triangolo di Turchia incuneato tra Iran ed iraq, terra di frontiera, vicinissima alle basi oltreconfine dei guerriglieri (in particolare, al campo di Güzel Konak). Poco fa una caserma delle malfamate ‘Forze Speciali’ era stata attaccata dai guerriglieri, una trentina di militari erano stati uccisi (appena due i guerriglieri morti), la Turchia era rimasta scioccata da tale episodio; solo tre giorni fa un commissariato della zona è stato assaltato e parzialmente incendiato.

La presenza militare in tutta la zona a ridosso dei confini è imponente e crescente: circa 300.000 soldati e 30.000 membri delle Squadre Speciali.
Solo a Şemdinli si contano 120 famiglie di ‘martiri’ (guerriglieri uccisi).
Un incontro importante a Şemdinli non poteva non essere quello con Saferi Hilmaz, il proprietario della libreria che il 9 novembre 2006 era stata fatta oggetto di un provocatorio attentato, dapprima attribuito falsamente ad un presunto regolamento di conti interno alla guerriglia, poi risultato essere opera dello “Stato profondo” (il procuratore di Van, Ferhat Sarikaya, aveva accusato formalmente il generale Buyukanit di ''abuso di potere e di costituzione di organizzazione segreta'' per avere - secondo la sua accusa - coperto alcuni militari presunti responsabili di tale attentato, che essi avrebbero ordito per innescare una strategia della tensione).

Ebbene, Saferi Hilmaz non è solamente il proprietario di tale libreria divenuta ora assai famosa: egli è stato anche, assieme ad Abdullah Öcalan, uno dei primi iniziatori della lotta armata del PKK, cominciata appunto con le ‘storiche’ azioni di Şemdinli ed Eruth del 15 agosto 1984 (data che è diventata per i kurdi un ‘anniversario’), i guerriglieri in quell’azione erano solo 21 uomini, ed in tutta la Turchia ammontavano a 30, ora sono tra i cinque ed i seimila. In seguito alla sua cattura Saferi Hilmaz è stato condannato all’ergastolo, pena poi ridotta a 18 anni di carcere, con pesanti torture, che si svolgevano talora con la cadenza di tre volte al giorno. Ma ora è sua moglie ad essere in carcere.

A Şemdinli giungono talora le salme dei guerriglieri uccisi. Arrivano asciutte e bruciate: il che denota l’impiego di bombe al fosforo.
A Şemdinli è esplosa recentemente una bomba; una donna incinta colpita dall’esplosione e ricoverata in ospedale vi ha perso il bambino che attendeva.
Anche a Van (dove ora si trova la delegazione) ci sono stati gravi scontri, una decina di feriti, tra cui un ragazzo ora in coma, molti arresti, che stanno sovraffollando le carceri locali.
Nonostante la drammaticità della situazione, la delegazione italiana ha potuto riscontrare, durante lo svolgimento di tutti questi incontri e colloqui, negli interlocutori con cui ha parlato, un atteggiamento di fermezza e determinazione.