domenica 25 gennaio 2009



Dal Tigri all’Ararat.

Viaggio nel Kurdistan turco, l’antica Mesopotamia, culla della civiltà.


Le cose più belle della rivolta kurda
sono le montagne. Lassu’ è nato un popolo
di liberi. La sua scuola è tra le rocce, la
sua università nella prigione di Diyarbakir.
(Erri De Luca – Aria di montagna)

E’ il 5° anno di viaggi solidali e di conoscenza in Kurdistan, dal 24 luglio al 6 agosto.

Si parte da Milano e da Roma verso Istanbul, poi con un volo interno si arriva a Diyarbakir, l’antica Amed, capitale virtuale del Kurdistan turco. Del milione e mezzo di abitanti, lo stato turco ne censisce neanche la metà: gli altri sono profughi che popolano un’infinita periferia di dignitosa povertà.
Le ventidue moschee, la chiesetta armena sopravvissuta al genocidio, la chiesa caldea, i bazar, e, soprattutto i cinque chilometri di mura romane con le ottantadue torri sull’alto corso del Tigri, le strade sempre piene di gente, di suoni e di colori, tornano nei sogni e nei canti dei kurdi della diaspora.

Si arriva poi alla turrita Mardin, con la sua cittadella merlata, i suoi musei, il suo bazar, le sue terrazze che guardano l’assolata piana mesopotamica, un armonioso mosaico di popoli, di religioni di culture che convivono da millenni.

Piu’ a sud, corre il confine turco-siriano, che taglia come un coltello la città di Nusaybin, l’antica Nisibis romana, separandola dalla città gemella di Qamishli, in territorio siriano. A Nusaybin, incontreremo l’associazione delle donne di Agenda 21, con le quali abbiamo realizzato il progetto di una locanda gestita da donne.

Da Cizre, adagiata sulle rive del Tigri, dove confluiscono i confini artificiali di Turchia, Siria ed Iraq e dove è possibile visitare la tomba di Noè e il mausoleo degli sfortunati amanti della tradizione kurda Mem u Zin, si incontra il coraggioso sindaco della città, Aydin Budak, destituito dalla carica, dopo aver scontato quarantacinque giorni di carcere, per “istigazione all’inimicizia”, a seguito di un discorso pronunciato al Newroz 2007.

Entriamo nella regione montagnosa del Botan, un territorio caro alla resistenza kurda, che venticinque anni fa nacque proprio qui.

Si raggiunge Sirnak, a 1.400 metri d’altezza, una città completamente militarizzata, piena di caserme e di soldati, popolata per buona parte da profughi scampati da villaggi bombardati e distrutti, con una situazione sociale e sanitaria drammatica, dove la nostra associazione ha realizzato, insieme alla municipalità, un centro sanitario per le donne e i bambini.

Da Sirnak, passando per Eruth, dove la resistenza kurda compi’ la sua prima azione armata contro una caserma dell’esercito, attraverso una stupenda Arcadia montana disseminata dalle rovine dei villaggi distrutti, si arriva a Siirt, capitale del pistacchio e centro di lavorazione dei tessuti di lana mohair. Qui, con il coraggioso sindacato insegnanti Egitim Sen, abbiamo realizzato un progetto di doposcuola per i bambini profughi; per dare continuità a questo impegno, vorremmo continuare a lavorare con i bambini del doposcuola per allestire un laboratorio di fotografia e un’attività per la
creazione di murales.
Stahay Der è l’associazione dei detenuti politici e dei martiri di Siirt che incontreremo: sentiremo tante storie raccontate da donne che hanno patito violenze e conosciuto orrori… Alcune di esse partecipano ad un progetto di adozione a distanza con famiglie italiane, sostenuto dalla nostra associazione.

Da Siirt, verso Batman, dove arrivano i terminal petroliferi, e oltre, lungo una strada che costeggia una campagna giallo ocra disseminata di bracci d’acciaio dei pozzi petroliferi.
Si arriva all’antica Hasankeyf per vedere, forse per l’ultima volta, i resti di dodici millenni di storia mesopotamica, prima che li sommergano le acque della diga di Ilisu, complice una cordata di imprese europee, tra le quali l’italiana Unicredit.
Mille anni fa, un geografo arabo, Al – Mukaddasi, la descriveva circondata da stupendi vigneti, selvaggia, rigogliosa di vegetazione, verde ed azzurra, per lo scorrere lento delle acque del Tigri, sotto le sue torri, le sue chiese, le sue moschee.
Appunto, per impedire che sia l’ultima volta.

Si sale verso Van che incontriamo a 1.700 metri d’altezza, adagiata sulle rive del lago omonimo, un
mare interno dalle isole ricche di storia, come quella di Akdamar che emerge dalle acque con il suo gioiello incastonato ad est: una chiesetta armena, in arenaria rossa, straordinariamente decorata.
Van è stata la capitale del regno di Urartu, quasi tremila anni addietro; allora, si chiamava Tushpa, e il suo castello – grandioso ed austero – domina la città da uno sperone roccioso, con molte iscrizioni in caratteri cuneiformi.
“Io ho incendiato le città, io ho posseduto la terra, ho scacciato uomini e donne…” è una frase che un re ha scolpito per sempre sulla roccia. Si chiamava Serdur II, regnò qui otto secoli prima di Cristo.
E’ in questa città che la nostra delegazione di marzo ha vissuto le tremende giornate del Newroz proibito, costato due morti, centinaia di feriti ed arrestati.

L’area a sud del lago, è regione di pascoli montani, straordinarie vallate, alte montagne dominate dal massiccio del Cilo Dagi, e città che, senza l’onnipresente occupazione turca, sarebbero ridenti e suggestive, come la verde Yuksekova e Semdinli.
Da Van ad Hakkari sono duecentotre chilometri interrotti da posti di blocco dei militari e frequenti perquisizioni. Tutta routine.
E’ in questa zona che sono schierati 250 mila militari pronti ad entrare in Iraq con il pretesto di fermare il Pkk, in realtà per bloccare sul nascere l’esperienza di un futuro stato kurdo e allungare le mani sul petrolio di Kirkuk e Mossul.
Hakkari: circa 70 mila abitanti, con i profughi di guerra, poca agricoltura e pastorizia, ancor meno commercio, eccezion fatta per i celebri tappeti kilim che qui hanno una tradizione secolare.
Analfabetismo diffuso, zero servizi, Hakkari è una città di frontiera, dove lo scontro è durissimo: l’ex sindaco della città, Metin Tekce, è stato condannato a sette anni di carcere; il 15 di febbraio, la polizia ha usato armi da fuoco ed assaltato il Municipio, per disperdere una manifestazione per la pace; qui, si entra e si esce dal carcere, spesso senza un’accusa specifica.
Nella zona, scontri e combattimenti con la guerriglia sono all’ordine del giorno, con il triste bilancio di morti e feriti.
A marzo, la municipalità di Hakkari ci ha proposto un interessante progetto per la realizzazione di un mercato coperto, per dare lavoro e riparo ai numerosi profughi, che sopravvivono, trainando i loro carretti da ambulanti con misere cose, esposti alle intemperie per parecchi mesi all’anno.

Da Hakkari verso le montagne del confine orientale, a Dogubeyazit, per vedere la cittadina dominata dal castello di Ishak Pascià, un palazzo feudale da “Mille e una notte”, adagiato ai piedi del Monte Ararat. La sindaca, una combattiva operaia tessile del DTP, si è trovata ad affrontare un mare di problemi ed ha rischiato più volte la destituzione per le sue prese di posizione sulla questione kurda.
Dogubeyazit è la porta dell’Ararat, il cui nome originario è Agri Dagi, Monte del Dolore. Infinite leggende, fra cui quelle sui resti dell’Arca di Noè, circondano l’immenso cono innevato dell’antico vulcano che si erge oltre i 5 mila metri sull’altipiano.
E’ la montagna madre di tutti i kurdi, con il suo seguito di catene che si prolungano a Nord in Armenia, a Sud lungo il confine iraniano fino all’Iraq.
Un territorio unitario, squartato dalla geopolitica e riunificato dalla lotta partigiana.

Da Dogubeyazit, passando da Ani, la città delle “mille chiese”, antica capitale dell’Armenia, verso Kars, immortalata da Ohran Pamuk nel suo bellissimo romanzo, “Neve”.
Sono territori pieni di storia e di dolore: questi luoghi videro i viaggi di Senofonte e Marco Polo e infinite carovane sulla Via della Seta, ma anche il calvario di migliaia di armeni, poi, negli anni ’40, le deportazioni di Assale di ebrei e cristiani ed oggi la sporca guerra contro i kurdi.

E poi verso Yusufeli, sul fiume Coruk, dove il governo turco vuole realizzare un’enorme diga, le cui acque sommergeranno villaggi e luoghi archeologici, decretando la fine di Yusufeli, che sarà spianata dalle ruspe.

Seguendo la costa da Rize a Trebisonda, si ha l’impressione di trovarsi nello Sri Lanka, tanto le colline sono ricoperte di piantagioni di thè.

Trebisonda è la città del popolo dei Laz, ma anche la città dove è forte la presenza dei Lupi Grigi e dei gruppi ultranazionalisti; qui, venne massacrato il prete cristiano Don Santoro, da qui parti’ una lunga scia di odio e di violenze contro minoranze cristiane, intellettuali come Hrant Dink, militanti di sinistra.

A sud di Trebisonda, c’è Sumela, il monastero appollaiato su uno strapiombo alto 1.200 metri, un tempo centro di civiltà con cappelle, dormitori, cortili e una biblioteca famosa in tutto il mondo per i suoi milioni di volumi.

Da Trebisonda si vola poi ad Istanbul, ultima tappa del nostro viaggio.

Sono centinaia gli “italyanlar”, gli italiani, che negli ultimi anni hanno conosciuto la dimensione umana e sociale della lotta kurda, partecipando, come “osservatori” alle immense feste del Newroz, il Capodanno kurdo, agli incontri con le associazioni della società civile, ai viaggi del turismo solidale.
Viaggi su viaggi hanno consentito di scoprire la ricchezza e l’articolazione della società civile kurda, in prima fila le donne e le “Madri della Pace” che non temono violenze ed arresti, pur di difendere la memoria di figli e mariti…
Sono i sindaci e le municipalità governate dal loro partito, il DTP, la rete del nuovo tessuto democratico e partecipativo, in un territorio che vede la chiusura dei giornali kurdi, le denunce
e gli arresti, la repressione nei confronti delle associazioni.
E’ anche la rete fraterna e ospitale per chi si reca in Kurdistan, a contatto con un’umanità che vuol conoscere e farsi riconoscere, oltre il muro del silenzio.



25.7.2008 – Incontro con il Sindaco di Hasankeyf, A. Vahap Kusen
Abbiamo incontrato il Sindaco di Hasankeyf, A. Vahap Kusen, e l’abbiamo informato sulla campagna in corso in Italia per la salvaguardia di Hasankeyf e della valle del Tigri, oltre che della recente azione compiuta contro Unicredit banca.
E’ stata un’informativa a carattere generale, senza entrare nei dettagli, perché sembra che il Sindaco abbia dato la sua adesione al Dyp, il partito della “retta via”, della Tansu Ciller.
Ci dice di aver saputo da poco del coinvolgimento di un istituto di credito italiano, e, per questo, si dichiara molto stupito, dato che la zona di Hasankeyf conserva resti archeologici e storici che risalgono all’epoca romana, ma anche a periodi antecedenti. Non capisce perché l’Italia abbia cosi’ tanta cura dei propri siti archeologici – e cita come esempio la città di Pompei – ed invece un istituto di credito italiano agisce in senso opposto.
Ci informa che, recentemente, c’è stata una manifestazione ad Ankara, dove hanno fatto sapere all’ambasciata tedesca che, qualora venisse realizzata la diga di Ilisu, le parti danneggiate, ovvero le popolazioni, avrebbero fatto richiesta di asilo politico in Germania. Stante cosi’ le cose, la prossima volta si rivolgeranno anche al governo del presidente Berlusconi.
Raccontiamo che Unicredit banca sostiene che, qualora si ritirasse dal progetto, altri istituti di credito sarebbero pronti ad occupare il posto rimasto vacante.
Ci risponde che si tratta di un giro di parole; ha partecipato a molte conferenze in Europa, e, ogni qualvolta si parla di istituti di credito, la risposta è sempre la stessa, ovvero che c’è il pericolo dell’entrata in gioco di banche cinesi od asiatiche a costi inferiori.
Ci informa che le agenzie di credito all’esportazione sono perplesse rispetto alle 150 regole elaborate dalla Commissione di esperti del DSI (Consorzio gestione acque); non dicono che non daranno finanziamenti, ma neppure che li daranno; e, nel frattempo, temporeggiano.
L’atteggiamento del Sindaco ci è apparso ambiguo: alla nostra richiesta di informazioni su una serie di iniziative organizzate in quei giorni dal DTP e da varie ong, per la salvezza di Hasankeyf, dice di non saperne nulla!

Il 27 luglio, al mattino, si è tenuta ad Hasankeyf, una conferenza stampa alla presenza del Sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir. Nel pomeriggio, a Batman, c’è stato un convegno organizzato da “Hasankeyf Girismi”, presso il teatro dedicato a “Yilmaz Guney”; si è trattato di una convegno, a carattere tecnico, con la presenza di un esponente della Camera degli Ingegneri e degli Architetti, un sociologo ed un archeologo; si sono ribadite, in particolare, le ragioni che animano l’attività della campagna, in piedi ormai da 10 anni e che sono sintetizzabili in quattro punti: 1. la salvaguardia del patrimonio archeologico; 2. la protezione della flora e della fauna stanziale, quasi unica al mondo; 3. la questione inerente gli sfollati dei villaggi limitrofi e la mancanza di un piano serio di ricollocazione; 4. infine, la questione energetica.
In particolare, viene contestata, con forza, al governo, una delle principali ragioni per la quale si giustifica la realizzazione della diga di Ilisu, ovvero il crescente fabbisogno energetico del Paese.
Ma le alternative ci sono e passano attraverso politiche di risparmio energetico, utilizzo di fonti alternative, abitazioni ecologiche a basso consumo.

Il giorno successivo, si è invece tenuto un meeting di protesta nel villaggio di Sugecken, a circa una decina di chilometri da Hasankeyf, laddove si trova il “Parco della speranza”, realizzato dalle ultime delegazioni; un parco ben curato da un residente della zona, dove gli alberi sono ormai cresciuti e cominciano a dare i loro frutti.
Verso sera, si è tenuta una manifestazione alla quale hanno partecipato seicento persone, in larga parte abitanti del villaggio e di Hasankeyf. L’ingresso del villaggio era presidiato da militari e blindati, quasi a rimarcare l’onnipresenza dello Stato. La manifestazione si è svolta pacificamente e si è conclusa con uno spettacolo teatrale ed un concerto.

26. 7. 2008 – Visita al centro culturale “Mitanni” di Nusaybin
La delegazione italiana è accolta a Nusaybin, dove è giunta verso le ore 13.00, presso il Centro culturale “Mitanny Kultur Markesi”, all’interno del quale c’è la “cafeteria” dedicata a Rashan (un martire kurdo che si è ucciso dandosi fuoco per protesta), ove lavorano 8 donne ed 1 uomo. L’asso-
ciazione “Verso il Kurdistan” ha donato per attrezzare il locale la somma di 13.500 euro.
La responsabile ci chiede se l’associazione può donare ancora, al fine di completare il giardino da thè, ulteriori 3.950 euro.
Viene ad incontrarci presso il Centro, il Sindaco di Nusaybin, Mehmet Tanhan, che ci parla a lungo della situazione in Kurdistan: per i kurdi non c’è alcun miglioramento della situazione, anzi è in aumento la repressione, le carcerazioni, bruciano le foreste incendiate dai militari…

Dopo la tappa di Nusaybin, proseguiamo per Cizre, dove, alla sera, partecipiamo, presso il Centro culturale “Mem u Zin”, alla serata di poesia dedicata all’illustre e amato concittadino, ormai scomparso, Horan Dogan; qui, incontriamo l’ex Sindaco di Cizre, ormai ristabilitosi dopo i 45 giorni scontati in carcere e il successivo intervento al cuore, che ringrazia la delegazione per l’impegno a favore del popolo kurdo.

Ad Horan Dogan, la municipalità di Cizre ha deciso di erigere un monumento per non dimenticare questa straordinaria figura di politico e di letterato. Ex parlamentare del discioto partito Dep, condannato a 15 anni di carcere insieme a Leyla Zana, di cui 10 scontati, è morto nell’estate scorsa per malasanità.
La statua, in sua memoria, è stata eretta in un parco pubblico, ma il Prefetto della città, ha, pretestuosamente, ordinato di nasconderla, facendola coprire con un telo; non solo, ma viene costantemente sorvegliata dai militari, giorno e notte, per impedire alla popolazione di avvicinarsi!


27.7.2008 – Incontro con il Sindaco della municipalità di Sirnak, Ahmet Ertak

A Sirnak, la delegazione incontra il Sindaco, Ahmet Ertak, che ringrazia per l’aiuto fornito nella realizzazione del Centro sanitario, una struttura che già supplisce efficacemente alla mancanza di interventi statali verso i moltissimi cittadini sprovvisti di “carta verde”, un documento che da diritto all’accesso gratuito delle cure sanitarie.
Ci dice che la municipalità ha acquistato una moderna autoambulanza per far fronte alle carenze governative che costringono i pazienti a pagare di tasca propria anche le emergenze.
Fa presente la necessità di fornire gratuitamente i farmaci alle famiglie bisognose e, a questo punto, la delegazione avanza l’ipotesi di destinare al Centro sanitario di Sirnak i proventi della campagna “arance di Natale” che venivano, in passato, indirizzati alla baraccopoli kurda di Ayazma, ormai spianata dalle ruspe.
Sulla situazione politica e sociale, Ahmet Ertak ci conferma quanto già detto dai sindaci di Nusaybin e di Cizre; in più, aggiunge, che, in questi giorni, la tensione nel Paese è cresciuta, in quanto sono aumentate le operazioni militari e la Corte suprema sta per decidere sullo scioglimento del partito di governo, AKP, e del partito filokurdo, DTP.


e con il sindacato insegnanti, Egitim Sen, di Siirt

Nel pomeriggio, la delegazione è arrivata nella cittadina di Siirt, dopo essere stata, a lungo, trattenuta a ben tre posti di blocco. Qui c’è stato l’incontro con il sindacato insegnanti – Egitim Sen.
Il Presidente ci ha riferito che, nel 2005, le autorità statali hanno promosso una causa giudiziaria per chiedere la chiusura del sindacato, avendo esso, tra le norme del proprio statuto, previsto il principio dell’insegnamento nella lingua madre, sia essa kurda, armena, araba o turca. Hanno dovuto cancellare l’articolo incriminato, pena la chiusura, ma è pendente un ricorso presso la Corte di giustizia di Strasburgo.
L’Egitim Sen – ci spiega il Presidente – fa parte della Confederazione KESK (una federazione di ben 11 categorie sindacali appartenenti al Pubblico Impiego).
In conclusione, si discute della possibilità di verificare per uno scambio tra studenti kurdi ed italiani per una conoscenza delle rispettive problematiche e per dare inizio ad un corso di fotografia.

28.7.2008 – Incontro con l’associazione Syy – Der (Sthay Der), famigliari di detenuti e martiri di Siirt. Presidente Mafuz Talu
La delegazione incontra l’associazione per l’aiuto ai detenuti e ai martiri di Siirt, Sthay Der, che adesso, dopo la chiusura da parte delle autorità, ha preso il nome di Syy Der.
Il presidente Mafuz Talu ringrazia l’associazione “Verso il Kurdistan” per la promozione delle adozioni a distanza per le famiglie di detenuti. Ci dice che, a tutt’oggi, i detenuti politici kurdi sono circa 5 mila e che la repressione continua, sempre più pesante.
Durante l’incontro, veniamo informati dell’attentato avvenuto ad Istanbul, con 18 morti: ci dice che numerosi giornali hanno subito individuato nel Pkk il responsabile dell’atto terroristico, ci parla della smentita diramata dallo stesso Pkk che l’attribuisce, invece, ad elementi di estrema destra con l’obiettivo di far crescere la tensione, in vista del pronunciamento della Corte suprema sullo scioglimento dell’Akp.
Veniamo informati che in quattro città kurde, e, precisamente, a Sirnak, Siirt, Van ed Hakkari, è stato reintrodotto lo stato di emergenza con lo scopo di vietare l’accesso ad alcune zone dove sono in corso operazioni militari.

La delegazione prosegue poi per Van. Ci rechiamo nella cittadina di Bostanici, dove incontriamo la Sindaca, Gulcihan Simsek.
Ci dice che a settembre sarà in Alessandria, dove la municipalità ha finanziato un progetto per la costruzione dell’acquedotto e delle fognature. L’acquedotto è già stato completato.
Ci parla di una situazione caotica in Turchia, di aggravamento della repressione e di azioni dell’esercito sempre più frequenti, con nuovi arresti e processi.
A tutto questo, gli stati europei restano indifferenti e silenziosi.
Piu’ volte, il Dtp ha ribadito - recentemente anche nel suo ultimo Congresso - di volere una semplice autonomia per il popolo kurdo, e non l’indipendenza con la creazione di un nuovo stato, ma il governo turco continua imperterrito sulla linea della totale chiusura a qualsiasi istanza innovativa. La linea federalista e autonomista per il popolo kurdo, ma anche per le altre minoranze che abitano la Turchia, lanciata dal Dtp, ha avuto però l’adesione di una serie di partiti turchi: Sdp, Odp, Hemet, oltre a varie associazioni della società civile.
Infine, la Sindaca ci informa che il 30 luglio ci sarà il processo per i fatti del Newroz del 22 marzo di quest’anno, a Van. In quella tragica giornata del 22 marzo, la polizia sparò facendo due morti e numerosi feriti. Attualmente, ben 47 persone sono ancora in carcere in attesa di processo.

29.7.2008 –Incontro con IHD (associazione dei diritti umani) di Van

La delegazione ha incontrato i membri dell’IHD di Van che sottolineano la gravità della situazione
in atto.
Ci riferiscono che il 31 luglio, tra le altre cose, inizierà il processo contro il Presidente del Dtp di Van, Abdurrahman Dogar, ed altri 46 kurdi incarcerati per i fatti del Newroz di marzo, per i quali sono state chieste pene pesanti.
A Van – ci dicono – la maggior parte dei membri dell’Ihd è kurda, anche se l’associazione, più in generale, è composta anche da turchi e da altre etnie. L’attuale presidente nazionale è un turco.
La maggior parte del lavoro dell’Ihd viene indirizzato verso la situazione delle carceri, dove vige una sistematica violazione dei diritti umani: i detenuti non possono comunicare con i loro parenti in kurdo (spesso, per i genitori anziani, è l’unica lingua conosciuta!); chi si ammala in carcere non riceve cure ospedaliere, ma viene curato solo all’interno del carcere (nella prigione di Siirt un detenuto di 76 anni è morto per un tumore al cervello, curato come schizofrenia!); c’è poi la questione delle donne carcerate che costituisce un altro grande problema.

29.7.2008 – Incontro con il DTP di Van
All’incontro con il Dtp di Van, manca ovviamente il Presidente che si trova in carcere dal 23 marzo, in attesa del processo che inizierà il 31 luglio. A suo carico, gravano una serie di accuse, che vanno dall’istigazione all’inimicizia tra i popoli, all’accusa di voler provocare un conflitto etnico, fino alla propaganda per un’organizzazione terroristica!
All’incontro è presente un giornalista del quotidiano turco “Taraf”, il primo a svelare le trame della “gladio” turca. Arriva anche una deputata del Dtp di Van, Fatma Kurtalan.
Ci dicono, con tono preoccupato, che la guerra contro i kurdi continua: ogni giorno, 20-30 aerei turchi bombardano le zone di confine, dove sono presenti i guerriglieri del Pkk; ci sono continui arresti ingiustificati; si sperimentano sul campo, ovvero durante gli scontri di piazza, nuove armi provenienti dal Belgio, che sparano particolari proiettili di plastica che producono ferite che difficilmente si rimarginano, oltre ovviamente ad uccidere (parecchi feriti, durante gli scontri del Newroz di marzo, sono ancora ricoverati in ospedale!).
Fatma Kurtalan, ci riferisce che, oltre alla pesantissima situazione che sta attraversando la regione, anche il lavoro parlamentare dei deputati kurdi (20 deputati, di cui 8 donne), è continuamente ostacolato.
Ci parla poi del processo per lo scioglimento dell’AKP e del DTP: dice che tra esercito ed Akp c’è un grosso scontro, ma, negli ultimi giorni, si sta cercando un accordo, per cui è problematico avanzare una previsione, mentre è certo che, sia l’Akp che l’esercito, sono alleati contro i kurdi.
Nel silenzio degli Stati europei.

30.7.2008 – Processo al presidente del DTP di Van, Abdurrahman, Dogar

E’ iniziato oggi, a Van, il processo relativo ai fatti del Newroz 2008 contro il presidente del Dtp di Van, Abdurrahman Dogar, in carcere dal 23 marzo 2008 e, per il quale, il pubblico ministero ha richiesto una pena complessiva di 210 anni di carcere; insieme a lui, saranno processati altri 46 imputati.
L’appuntamento alla sede del Dtp era prevista per le 9.00, ma il processo vero e proprio è iniziato al pomeriggio alle 17.00. Cosi’ funziona la giustizia in Turchia!
Al processo erano presenti, oltre a parenti ed amici, la deputata del Dtp di Van, Fatma Kurtalan, la sindaca di Botanici, Gulcihan Simsek, i sindaci di Yuksekova e di Hakkari, Yildiz Salin e Kazim Kurt.
Impedito l’ingresso nell’aula del tribunale a tutta la delegazione, è stata solamente ammessa la presenza di un fratello e della moglie.
Accanto a noi, erano seduti dei commercianti in attesa, fin dalle 10.30 del mattino, di essere sentiti in qualità di testimoni; ci hanno detto che, a loro, la polizia ha promesso che, qualora avessero fatto una “buona” deposizione, avrebbero avuto risarciti i danni subiti ai loro negozi durante le giornate del Newroz!
Verso le 18.00, alla richiesta reiterata al Presidente del tribunale di poter partecipare all’udienza, come risposta c’è stato lo sgombero del palazzo di giustizia.
Fuori dal tribunale, stazionavano, fin dal mattino, un nutrito gruppo di famigliari, sostenitori, membri del Dtp, insieme ai sindaci e a semplici cittadini.
A presidiare l’entrata del tribunale, un folto gruppo di agenti, poliziotti in borghese, autoblindo.
Solo verso le 21.00, gli imputati sono usciti incatenati dal tribunale ed è partito un lungo applauso, accompagnato da slogan del tipo: “Katil Celik”, Celik assassino (Celik è il Ministro della Cultura dell’attuale governo dell’Akp, eletto nella città di Van).
La tensione è salita alle stelle quando i manifestanti hanno quasi accerchiato il blindato che trasportava i detenuti su entrambi i lati della strada ed era giunta la notizia dell’arrivo all’ospedale di Van di un ragazzo colpito dalle forze di sicurezza con armi da fuoco a Yuksekova.
Il processo è stato rinviato al 17 ottobre.

1.8.2008 – Incontro a Dogubeyazit con Faruk Serkan, vice sindaco della città e presidente dell’associazione “Umut Cocuklari”, i bambini della speranza
“Quel che avete visto al Newroz di Van e di Hakkari – ci dice – noi lo vediamo qui in Kurdistan da decenni.
Avete anche visto un Paese che vieta al proprio popolo di salire verso le montagne. I pastori non possono portare le loro capre fin sull’altipiano, ma possono arrivare solo fino alla periferia cittadina.
Ci sono continui bombardamenti, quasi ogni giorno, sulle pendici del Monte Ararat, sia dalla parte turca che iraniana.
Noi, invece, cittadini di Dogubeyazit, non siamo liberi a casa nostra, non ci possiamo muovere come vogliamo.
E la situazione è diventata oltremodo pesante dopo la cattura degli ostaggi tedeschi da parte del Pkk.”
Faruk Sukan non è convinto che sia avvenuto un vero e proprio sequestro. “Erano dieci i tedeschi presenti al campo base – dice – Penso che i tre non siano stati sequestrati, ma siano voluti andare volontariamente con i guerriglieri, come atto di protesta contro il loro governo, tant’è vero che, dopo un’assenza di tredici giorni, sono tornati da soli”.
Ci parla delle iniziative messe in campo allora da Ihd, Dtp, ong e altre associazioni per andare in montagna a riprendere i tre tedeschi, iniziative fatte volutamente fallire dalla presenza costante ed ossessiva della polizia.
“Non si è aperta una trattativa vera e propria – ci dice – perché sono stati liberamente rilasciati. La Germania ha vietato le trasmissioni della televisione kurda Roj Tv sul suolo tedesco e questo ha creato problemi con il nostro popolo”.
Faruk Serkan ci parla di una situazione pesante per la popolazione di Dogubeyazit: prima, le autorità turche hanno vietato il commercio con il vicino Iran, chiudendo la frontiera di Gurbulak, adesso, proibiscono e cercano di limitare il turismo. Risentono di questa situazione, soprattutto, i gestori dei piccoli negozi, in quanto le famiglie risparmiano anche sul mangiare (l’80% della popolazione della città vive una situazione di povertà e di miseria).
Il municipio non sta, comunque, fermo.
Negli anni scorsi, con un’associazione caritatevole americana, ha avviato un progetto per un allevamento di galline ovaiole (il costo complessivo è stato di 400 mila dollari, la struttura contiene 14 mila galline, è interamente meccanizzata ed è stata dedicata al suo fondatore “Sig. Johnson”); oggi, l’allevamento dà lavoro a 6 persone, produce circa 12 mila uova al giorno che vengono vendute al prezzo di 2.5 dollari per ogni confezione da 30 uova.
Con la vendita delle uova, il municipio di Dogubeyazit riesce ad aiutare 175 bambini che vivono e lavorano in strada, altri 183 bambini che vivono di piccoli espedienti e sono per lo più dediti a sniffare colle o spacciare droghe, oltre a 5.000 ragazzi che frequentano le scuole della città.
I militari non acquistano le uova da quest’allevamento, perché sarebbero “le uova del Pkk”!
Al contrario, la municipalità non ha problemi di commercializzazione, semmai ha problemi di insufficiente produzione rispetto alla domanda.

Sempre con l’aiuto di questa fondazione americana, ci annuncia che, prossimamente, verrà avviato un nuovo progetto indirizzato ai bambini che sniffano colle; un progetto del costo complessivo di 550 mila dollari, per il primo anno: si tratta dell’avvio di un centro di recupero, dove i bambini resterebbero in terapia, con pedagogisti e psicologi, per un periodo limitato, 5-6 mesi, dopodichè farebbero ritorno a scuola e alle rispettive famiglie.
Ci chiarisce anche le finalità del progetto realizzato a suo tempo dalla provincia di Ancona: non si tratta di una casa di accoglienza per le donne, bensi’ di un centro sanitario attrezzato, con laboratorio analisi, medici ed infermieri.
Faruk Serkan conclude l’incontro con una nota di preoccupazione: “l’islamismo – ci dice – è in crescita, a Dogubeyazit, come altrove. Gli islamici intervengono nel solito modo, già sperimentato altrove: prima, precludono ogni possibilità di sviluppo economico-sociale, come, per l’appunto, sta avvenendo a Dogubeyazit, poi intervengono con una politica di aiuti caritatevoli in modo da attirare la gente, soprattutto le donne.”
“L’Europa deve stare attenta – continua – perché questo problema dell’islamismo se lo ritroverà in un futuro prossimo.
Noi kurdi vogliamo avere la libertà – conclude Faruk, quasi lanciando un appello a noi ambasciatori di un’altra Europa possibile – vogliamo che la guerra finisca, vogliamo riabbracciare i nostri figli che sono sulle montagne, vogliamo vivere come voi”.

2.8.2008 – Incontro con il presidente del DTP di Kars, Veli Mukyen e con l’ex deputato del disciolto partito Dep, Mahmut Alinak
La delegazione ha incontrato il presidente del Dtp di Kars, Veli Mukyen e l’ex deputato del disciolto partito Dep, Mahmut Alinak.
Il presidente del Dtp, prima proprietario di un giornale di Istanbul, “Democrazia”, ora chiuso dalle autorità e per il cui contenuto è stato condannato a ben 300 anni di carcere, condonati con l’amnistia del 2000 (in quanto reato giornalistico), ci illustra la situazione della città di Kars, città cosmopolita, abitata per il 60% da kurdi, ma anche da altre minoranze etniche, come i circassi, gli armeni, i georgiani, i laz, i turkmeni.
In questa città, il Dtp è passato dai 25 mila voti che aveva agli attuali 16 mila delle ultime elezioni, su un totale di centomila votanti potenziali.
Ciò è dovuto a diversi fattori: una politica clientelare e caritatevole dell’Akp, che, in una situazione di gravi difficoltà economiche, ha elargito aiuti in denaro alle famiglie più povere e, soprattutto, alle donne, che qui da noi non hanno nulla, nè denaro, nè altro a disposizione (“le nostre donne vengono dopo le mucche” diceva il grande poeta turco Nazim Ikmet); e poi, c’è stata un’azione di terrorismo psicologico nei confronti di chi intendeva dare il voto al Dtp.
L’ex deputato Mahmut Alinak interviene nella discussione dicendo che la causa prima di questo brutto risultato è dovuta anche alla politica sbagliata del Dtp, che ha sottovalutato la pericolosità dell’Akp, che si era presentato alla popolazione dicendo che avrebbe risolto il problema kurdo, e, al contempo, avrebbe lottato contro lo strapotere dell’esercito; del resto, il Dtp non ha mai denunciato,
in maniera forte, le “elemosine di stato” del partito di governo verso gli strati più poveri della popolazione.
Veli Mukyen ci dice che il processo all’Akp è terminato, l’Akp non è stato chiuso (anche se gli sono stati dimezzati i finanziamenti pubblici), quasi sicuramente per un accordo intervenuto tra il premier Tayyip Erdogan e il futuro capo di stato maggiore dell’esercito, Ilker Bashug, un accordo che garantisce le forze armate, legittimate a portare la guerra oltreconfine, in Iraq, e, al contempo, garantisce anche l’Akp che può continuare la pressione verso le organizzazione kurde, acquisendo cosi’ un qualche vantaggio sul Dtp, in vista del prossimo appuntamento elettorale per il rinnovo delle municipalità che si terrà nella primavera del 2009.
Da questo punto di vista è servito anche Ergenekon, la cosiddetta Gladio turca, ferita ma non sconfitta dagli arresti della settimana scorsa, che ha avuto un ruolo di intimidazione e di condizionamento sul partito del premier, con gli attentati e le stragi di questi mesi, non ultimo le bombe di Istanbul che hanno provocato 18 morti e un centinaio di feriti.
E’ questa la tesi che sostiene anche “Alternatif”, il nuovo quotidiano del Dtp.

Alinak ci dice che l’11 agosto entrerà in carcere per 37 mesi, perché ritenuto colpevole di aver avanzato una richiesta per intitolare tre vie di Kars ad altrettanti leader e intellettuali del mondo kurdo, Musa Anter, Deniz Gezmis e Vedat Aydin. L’accusa per la quale è imputato è quella di aver violato l’art. 215 del Codice Penale, laddove è prevista una pena per “l’elogio dei criminali e dei loro crimini”!
Ci dice che questa iniziativa si inserisce in una serie di trentotto proposte di disobbedienza civile che lo stesso Alinak ha avanzato all’ultimo Congresso del Dtp, ricevendo un applauso generalizzato e il consenso di vari dirigenti del partito.
Il problema vero è che il 17 settembre ci sarà il processo al Dtp, che probabilmente verrà chiuso (sarebbe la sesta volta in cui il partito dei kurdi viene sciolto: prima c’era Hep, poi Dep, Hosdep, Hadep, Dehap, infine Dtp).
Alinak pensa che queste iniziative nonviolente, anche se ancora non condivise da tutta la dirigenza del Dtp, possano contribuire a smuovere il popolo kurdo e a mobilitarlo.
“Il nostro metterci in discussione, farci carico anche soggettivamente di queste battaglie – continua Alinak – vuole essere un momento di educazione e di insegnamento al popolo di cosa voglia dire praticare la disobbedienza civile. Con i nostri corpi facciamo scuola e insegnamo al popolo…”.
Chiediamo ad Alinak se pensa che queste azioni di disobbedienza civile possano essere alternative alla lotta armata.
E’ preciso e categorico: le due azioni non sono in contraddizione tra loro, la resistenza del Pkk è una risposta agli attacchi dell’esercito e alle provocazioni dello Stato turco; il Pkk chiede molto poco, vuole solo il riconoscimento dell’identità kurda. Non c’è popolo al mondo che non abbia un’identità!
Se io fossi presidente del Dtp – prosegue – andrei in montagna e chiederei ai guerriglieri di fermarsi, e lo stesso chiederei all’esercito e allo Stato.
Se questi non si fermano, organizzerei il boicottaggio di tutte le istituzioni civili, economiche e sociali; inviterei i kurdi a non più uscire da casa, a non mandare i figli a scuola, a non andare in fabbrica, in ufficio, a restituire i documenti alle autorità turche…
Certo, lo Stato aumenterà la repressione, ma credo che questo ce lo dobbiamo, in qualche modo, aspettare…
Ho fatto il deputato per otto anni – prosegue Alinak – ma, di fatto, è stata una perdita di tempo, perché la lotta deve essere fatta con le masse popolari”.
Sulla questione dell’entrata della Turchia in Europa, ci dice che è necessario entrare, ma questo non basterà per cambiare la mentalità dello Stato turco.
Conclude con queste parole: “Un domani, i popoli del Kurdistan e della Turchia – sottolineo i popoli del Kurdistan e della Turchia – saranno le stelle che brilleranno in cielo per gli altri popoli del pianeta. La lotta che qui si combatte non è solo per noi, ma per tutti i popoli oppressi. Penso che in futuro tutti i popoli della terra conquisteranno la libertà e parleranno una sola lingua universale”.

3.8.2008 – Incontro con il sindaco di Yusufeli, Yusuf Saglam
A Yusufeli, nonostante l’arrivo di domenica, senza alcun preavviso, riusciamo comunque ad avere un incontro con il sindaco della cittadina, che, gentilmente, si rende disponibile ad una chiacchierata informale nel giardino ombreggiato del bar all’aperto, al centro della piazza del Municipio.
Scopriamo, durante l’incontro, che il sindaco è un esponente dell’ Mhp (il partito dell’estrema destra, filiazione dei Lupi Grigi), una sigla che ricorreva nelle scritte sui muri che ci avevano accompagnato attraverso la valle, fino al centro urbano. Per fortuna, scopriamo anche che si tratta di un caso isolato, in quanto la maggior parte dei municipi della zona sono amministrati da partiti della sinistra turca.
L’appartenenza politica di estrema destra del sindaco ci costringe ad un atteggiamento particolarmente cauto e prudente.
Il primo cittadino di Yusufeli, che probabilmente intuisce chi si trova difronte, ci fornisce comunque, con gentilezza, i dati e le informazioni che ci interessano.
Una premessa: siamo a Yusufeli, perché sappiamo che il governo turco è intenzionato a costruire, anche qui, un sistema di dighe che cancellerà buona parte della vallata, sommergendo la stessa cittadina di Yusufeli, che, pertanto, sarà spianata dalle ruspe.
Yusufeli, collocato a 560 metri sul livello del mare, fa parte di una sottoprefettura ai piedi dei monti Kakmar, a soli 15 chilometri dal confine georgiano,. Il distretto è formato da 61 villaggi, popolati da un totale complessivo di 22.945 abitanti. L’attività principale è l’agricoltura: si producono kiwi, olive e riso.
Il fiume, che attraversa la valle prosegue il suo corso in Georgia, è il fiume Cohruk che è distinto in tre tratti: inferiore, superiore ed intermedio.
Il sindaco ci spiega che, in corrispondenza del tratto inferiore del Cohruk, sono già state costruite due dighe, già attive e che forniscono elettricità, una proprio sui confini con la Georgia, Paese con il quale lo Stato turco ha pure siglato un protocollo d’intesa; nel tratto intermedio, sono previste altre tre dighe , di cui una già realizzata per un terzo, due ancora da realizzare, tra cui quella di Yusufeli;
le dighe, invece, previste nel tratto superiore, non sono ancora state costruite.
Noi ci siamo interessati alla diga di Yusufeli.
Entrando nel merito del progetto, il sindaco ci spiega di aver analizzato vantaggi e svantaggi dell’opera e di averne ricavato conclusioni negative, tanto da aver organizzato marce e proteste e presentato un ricorso in sede giudiziaria.
Dopo aver vinto la causa in prima istanza, la Corte suprema che, secondo lui aveva subito pressioni politiche, ha rovesciato la sentenza di primo grado, dando ragione al governo centrale e limitandosi a prevedere una diversa dislocazione di una delle dighe.
Con questa sentenza, si è esaurito il percorso giudiziario.
La città di Yusufeli si trova nel punto d’incontro di cinque altipiani; 8 villaggi dei 61 facenti parte del distretto saranno completamente sommersi dalle acque della diga, altri 16 lo saranno solo parzialmente, mentre l’80% della rete dei trasporti sarà definitivamente cancellata.
I lavori di costruzione non hanno ancora avuto inizio perché una ditta francese, facente parte del consorzio internazionale che realizzerà il progetto, si è ritirata, sostenendo che il governo turco non ha adottato sufficienti misure per ridurre l’impatto della diga sulla popolazione locale.
In effetti, oltre alle pesanti conseguenze su flora e fauna destinati a sparire, la diga – che sarà alta 276 metri - inciderà negativamente sulle principali attività economiche della vallata, essenzialmente il turismo e l’agricoltura; il turismo, per via delle tre chiesette georgiane e dei siti archeologici che verranno sommersi; l’agricoltura, in quanto le coltivazioni sono dispiegate sul fondovalle, che sarà invece invaso dalle acque. La popolazione sarà reinsediata sulla cima delle colline intorno (sono state destinate a questo scopo 386 ha), poco adatte alle coltivazioni.
Yusuf Saglam dà quindi una valutazione politica negativa dell’atteggiamento del governo centrale, autoritaro e accentratore, sordo alle esigenze della comunità locale ed inadeguato ad affrontare le sfide del 21° secolo.
Rivendica per sé un ruolo di rappresentanza degli interessi locali e di autonomia dal potere politico centrale, indipendentemente dal colore politico di quest’ultimo.
La diga di Yusufeli si inserisce in un progetto che prevede la costruzione di ben 33 dighe in tutta la Turchia, di cui 10 molto grandi, che assicureranno appena l’8% della produzione di energia elettrica.
Nel caso di Yusufeli, il bacino servirà esclusivamente alla produzione di energia elettrica e non per scopi agricoli, come è invece avvenuto per altri casi.
4.8.2008 – Incontro con l’associazione dei diritti e delle libertà fondamentali di
Trebisonda (Temel Haklar ve ozgurlukler Dernegi)

Incontriamo Mehmet Basbag, dirigente dell’ufficio di Trebisonda.
L’ufficio è stato aperto nel 1989.
A Trebisonda, vi sono anche gli uffici dell’Ihd, del Kesk e dell’Egitim Sen; non è presente il Dtp che in città raccoglie l’1% dei voti!
Il sindaco di Trebisonda è del partito nazionalista Chp.
Non c’è una presenza kurda stabile a Trebisonda, ma solo operai stagionali presenti in città per la raccolta delle nocciole, o, saltuariamente, occupati in edilizia. Sono presenti soprattutto nella zona di Ordu.
Il clima che si respira in questa città del Mar Nero è molto pesante; per esempio, i giornali della sinistra non si possono diffondere, pena il linciaggio!
“Come associazione – ci dice Mehmet Basbag – dovevamo fare trasloco, proprio questa mattina, in un nuovo alloggio, ma la polizia ha fatto pressione sul proprietario, affinché l’appartamento non ci venisse affittato.”

Dall ’89, si è creato in città un clima di forte propaganda nazionalista, contro i kurdi e contro la sinistra. Il Pkk non è benvisto; molti giovani soldati sono tornati nelle bare dopo le campagne militari contro la guerriglia.
Per dare un’idea del clima che grava su Trebisonda, ci racconta di quanto accaduto il 6 aprile del 2005: cinque membri dell’associazione sono stati aggrediti e linciati da una folla di facinorosi nazionalisti, mentre distribuivano volantini per le vie cittadine; e pochi giorni dopo, l’episodio si è purtroppo ripetuto.
Le attività dell’ “associazione dei diritti e delle libertà fondamentali” sono le seguenti:
pubblicano un mensile che si chiama “La voce del Mar Nero”; effettuano volantinaggi, indicono conferenze stampa, hanno svolto la campagna contro le carceri di tipo F, tentano di organizzare i lavoratori stagionali occupati nelle campagne di raccolta del thè e delle nocciole (il 70% della produzione mondiale delle nocciole viene dalla zona del Mar Nero!).

Il governo vuole liberalizzare i prezzi e sostituire, in parte, la produzione delle nocciole con quella del kiwi; tutto ciò determinerebbe una crescita esponenziale della disoccupazione nella zona che si aggira già intorno al 50%, contro una media attuale della Turchia del 20%.
Nel nuovo processo di divisione internazionale del lavoro, le nocciole dovrebbero essere prodotte da Argentina, Cile e, soprattutto, Italia.
Stesso discorso vale anche per il thè.

In città è forte l’Akp, come pure i partiti nazionalisti, Chp e Mhp.
Gli abitanti di Trebisonda sono soprattutto greci, turchi, circassi, georgiani, armeni e laz.

Il grande problema di Trebisonda è la prostituzione: l’80% degli alberghi favoriscono la prostituzione e i fascisti gestiscono questo traffico.
Molti giovani disoccupati sono organizzati in bande, controllate dai “Lupi grigi”, che poi vengono usate per il controllo della prostituzione e per il traffico di droga. Non solo, ma questi ragazzi, solitamente minorenni, vengono anche impiegati come manovalanza prezzolata per vendette o omicidi, basti ricordare l’uccisione di Don Santoro, proprio a Trebisonda, l’assassinio del giornalista armeno Hrant Dink, l’assassinio dei tre ragazzi tedeschi che stampavano la Bibbia a Malatya…

Gli islamisti radicali che stanno caratterizzando l’ambiente politico di Trebisonda provengono da due villaggi vicini, Gumus Hane e Bayburt; ci sono in zona anche villaggi greci che si sono convertiti all’islam e al nazionalismo turco.

Le donne della zona del Mar Nero vivono una situazione di oppressione molto maggiore delle donne kurde: queste donne sono impiegate nei lavori agricoli più pesanti e faticosi, nella raccolta del thè e delle nocciole, ed, inoltre, devono curare la casa; per gli uomini è motivo di vergogna lavorare in campagna, loro preferiscono lavorare fuori, nelle grandi città…


5.8.2008 – Incontro con l’associazione degli scomparsi e delle vittime delle ese- cuzioni extragiudiziarie –Yakayder - di Istanbul
Ci incontriamo con i dirigenti dell’associazione Yakayder, associazione dei famigliari degli “scomparsi” e delle vittime delle esecuzione extragiudiziarie, nella loro nuova sede, ai quali consegnamo 4 mila euro del Comune di Mantova a completamento della seconda fase del pro-
getto sulla ricerca degli scomparsi.
Ci informano che Yakayder aprirà una succursale anche a Diyarbakir.

Il 14 giugno hanno partecipato ad un convegno internazionale a Rabat, in Marocco, con altre associazioni che, nel mondo, si occupano di queste tematiche.
La sede internazionale dell’associazione degli scomparsi e delle vittime delle esecuzioni extragiudiziarie si chiama Femed e si trova in Francia, mentre la presidentessa è argentina.

Ci dicono che, in Kurdistan, stanno ricominciando le esecuzioni extragiudiziarie e le sparizioni.
Ad Hakkari, otto giorni fa, i poliziotti hanno sparato ed hanno ucciso quattro pastori, dicendo, in seguito, che si trattava di terroristi; tre giorni fa, a Yuksekova, hanno trovato i corpi di tre persone – due uomini ed una donna – con la testa tagliata.
E quando poi ci si rivolge alla polizia non accade nulla!

L’anno in cui ha avuto inizio la repressione è stato il 2001, con i primi “desaparecidos” e le esecuzioni extragiudiziarie; queste ultime, secondo dati ufficiali, hanno interessato tra le 7 e le 8 mila persone (solo in Kurdistan sono circa 5.500!); gli scomparsi, invece, risultanti all’associazione Yakayder, sono stati finora 1.285.
Due sono stati i periodi che hanno caratterizzato la fase più acuta del conflitto: periodo ’84-’90 – un arco di tempo in cui ci sono stati parecchi scomparsi, ma senza alcun ricorso; periodo ’94- ’98 – sono iniziati i ricorsi.

Tutti i dirigenti dell’associazione Yakayder contano almeno uno scomparso in famiglia.