Partecipanti alla delegazione
Antonio Olivieri – associazione Verso il kurdistan - Alessandria
Lucia Giusti – sindacalista Cgil - Alessandria
Said Lukman – operaio – Alessandria
Renato Torti – psichiatra – Alessandria
Pierluigi Cavalchini – professore – Alessandria
Enrico Ventrella – infermiere – Aosta
Doris Cassetto – psicologa – Aosta
Lorenzo Giroffi – cineoperatore e giornalista – Napoli
Simonetta Crisci – avvocato – Roma
Franco Zavatti – sindacalista Cgil – Modena
Paolo Zammori – insegnante – Filattiera (MS)
Lerzan Caner – interprete – Istanbul
Della delegazione faceva parte anche Alberto Mari di Pisa
che non ha potuto partire
Siamo appena arrivati ad Erbil (Hewler, in kurdo), la capitale del Kurdistan iracheno, una città di quasi mezzo milione di abitanti, in pieno sviluppo economico, meta di investitori di ogni Paese del mondo.
E’ sera. Davanti all’albergo, passa un lungo corteo di auto strombazzante, con le bandiere gialle del Pdk e del Kurdistan, immagini di Mustafà Barzani: festeggiano la vittoria del loro partito, così come avviene in altre città del Kurdistan.
E’ sera. Davanti all’albergo, passa un lungo corteo di auto strombazzante, con le bandiere gialle del Pdk e del Kurdistan, immagini di Mustafà Barzani: festeggiano la vittoria del loro partito, così come avviene in altre città del Kurdistan.
Non bene è andata, invece, per il Puk, che, fino a ieri, era il secondo partito del Kurdistan, ma, con queste elezioni, è diventato il terzo, pagando la spaccatura con la fuoriuscita della nuova formazione, Gorran.
Elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno.
5 milioni di abitanti
2.8 milioni aventi diritto al voto
111 seggi in parlamento
79% votanti
2.8 milioni aventi diritto al voto
111 seggi in parlamento
79% votanti
Risultati (quasi definitivi);
Pdk 39%
Gorran (“Cambiamento”) 28%
Puk 17%
Yekgrtu (islamista) 10%
Gorran (“Cambiamento”) 28%
Puk 17%
Yekgrtu (islamista) 10%
28/9/2013 – Visita al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan
In sala riunioni, incontriamo Omar Hawrami, parlamentare del Pdk nella passata legislatura, che ha ricevuto l’incarico d’incontrarci.
Parliamo di elezioni.
Ci dice che la differenza con la precedente tornata elettorale sta nel fatto che il partito di Talabani si è spaccato in due: da una parte il vecchio Puk e, dall’altra, la nuova formazione fuoriuscita, Gorran.
In precedenza, Barzani e Talabani avevano costituito una coalizione presentandosi insieme, in queste elezioni ognuno è andato per conto proprio. La lista Gorran ha preso parecchi voti ed è diventata la seconda formazione in Parlamento.
Il popolo ha premiato, ancora una volta, il partito di Barzani perché ha visto quello che ha fatto in questi anni per la Regione.
Dei 111 seggi in Parlamento, 100 andranno ai tre maggiori partiti, il resto andrà ai partiti minoritari; il Pdk dovrebbe avere 39 seggi. Ogni partito ha presentato 100 candidati: verranno eletti i candidati con maggiori preferenze.
Lo scorso anno, il governo regionale del Kurdistan aveva un contenzioso con il governo centrale per la spartizione della rendita petrolifera: il governo di Bagdad avrebbe dovuto corrispondere al governo regionale il 17% dei proventi della vendita del petrolio, in realtà pagava solamente l’11%; oggi, invece, i kurdi ricevono il 13% dei proventi.
Il governo centrale di Al Maliki giustifica il tutto con le ingenti spese che deve sostenere per armarsi e garantire la sicurezza interna!
Ci dice che in Siria è in atto una vera e propria catastrofe umanitaria.
Si aggirano ormai intorno ai 200 mila i profughi che affluiscono in Iraq, in fuga dalla guerra civile.
Viveri, medicine, sicurezza dei campi profughi, costa molto al governo regionale kurdo.
Si cerca di aprire una scuola in ogni campo per insegnare la lingua kurda.
Inoltre, c’è una campagna per mandare aiuti direttamente in Siria.
Ad oggi (29.09.2013), sono attivi tre canali per gli aiuti: uno è quello del governo, un altro è quello diretto della popolazione e poi c’è l’Onu con la sua agenzia per i rifugiati.
La riunione si conclude con la notizia dell’attentato avvenuto alla periferia di Erbil, davanti ad un commissariato per la sicurezza interna, il primo attentato di questa portata da otto anni a questa parte.
Un vero e proprio attacco fatto con armi e bombe a mano da 6 kamikaze che poi hanno fatto esplodere anche un’ambulanza arrivata sul posto: risultato 12 morti, di cui 6 sono i terroristi, altri 6 sono i civili e ci sono ben 60 feriti, alcuni in gravi condizioni.
Si pensa che l’attacco sia opera di gruppi legati ad Al Qaeda.
Delegazione Italiana in Kurdistan Iracheno
Incontro con il rappresentante del KNK (Congresso Nazionale del Kurdistan), Xebat Muhammed;
Ci dice che la sede del Congresso Nazionale del Kurdistan a Hewler è stato aperto nel 1999.
Gli obiettivi del KNK:
1)Aprire un dialogo tra tutti i partiti delle varie parti in cui è diviso il Kurdistan;
2)Raccogliere e diffondere documentazione sull’attività;
3)Preparare il Congresso di tutti i partiti kurdi.
Il KNK ha contatti con tutti i partiti e i movimenti kurdi. Fanno parte del KNK (in Kurdistan Federale) 29 persone, ma gli attivisti sono circa 300.
Ogni anno, a Bruxelles, si tiene un congresso ma il 25-27 ottobre si terrà a Hewler (Erbil), un Congresso dove partecipino tutti partiti curdi che vengono da 4 parte del Kurdistan.
Sarà il primo Congresso che si terrà in una parte liberata del Kurdistan.
‘Il nostro sogno’ conclude Muhammed ‘è quello di creare un grande Kurdistan federale e in pace’.
Incontro con il responsabile del BDP di Hewler, Mehmet Alì Aydin
Il BDP è presente nella città di Hewler, con un proprio ufficio, da due anni.
Aydin parte facendoci una lunga descrizione delle persecuzioni che i militanti kurdi subiscono in Turchia: distruzione della lingua, della cultura, sfruttamento delle risorse, distruzione di oltre 4 mila villaggi, incarceramenti, torture, espropri di terre ed obbligo a migrare.
Loro sono presenti ad Hewler con una rappresentanza, come un consolato.
Il loro obiettivo non è quello di fare politica (in Kurdistan Federale). Nel Kurdistan iracheno c’è una democrazia, ci dice, anche se non ancora come la vogliamo noi.
Incontro con una rappresentanza del PCDK (Partito della Soluzione Democratica del Kurdistan in Iraq)
Questo partito nato nel 2002 in Sud Kurdistan, è diretto in modo paritario da due dirigenti.
Il loro riferimento è il pensiero e la proposta politica di Abdullah Ocalan.
C’è un ostracismo dei partiti di governo nei loro confronti: non sono a tutt’oggi riconosciuti.
Negli undici anni trascorsi dalla fondazione, ci sono stati parecchi problemi: alcuni di loro sono stati incarcerati perché accusati di essere vicini al PKK.
Nel 2009, il PCDK avrebbe voluto presentarsi alle elezioni, senza pero’ riuscirci. Invece, in questa tornata elettorale sono riusciti a partecipare con una lista di 38 candidati (una capolista donna e ben 14 donne su 38 candidati); purtroppo, per alcuni motivi politici, i loro voti sono stati annullati.
Calcolano di aver raccolto 50 mila voti, anche se poi lo spoglio ha dato come risultato 13 mila voti, risultato contro il quale hanno già annunciato un ricorso presso la Commissione Parlamentare. Per loro questo non costituisce un problema, continueranno la loro battaglia, come hanno sempre fatto, in mezzo al popolo, tra la gente. Parliamo dell’attentato odierno avvenuto in Hewler, il primo dopo molti anni.
Nel riconoscere la gravità dell’attentato, lo considerano come un attacco alla democrazia che si è affermata nella regione autonoma del KURDISTAN. Seppur imperfetta, è una democrazia che dà molto fastidio, rappresenta un faro per la democrazia per tutti i regimi del Medio Oriente.
Oggi nel Kurdistan iracheno c’è molta disparità e corruzione.
Il PCDK si batte contro i privilegi dei partiti, contro discriminazioni e diseguaglianze, per l’universalità.
“Si costruiscono alti palazzi – ci dicono – ma la mentalità kurda è il passato”.
Delegazione Italiana in Kurdistan (Iraq
La situazione di Bahkra. I dati dei rifugiati
30 settembre 2013. Dopo aver fatto i bagagli ed aver salutato gli amici dell’ Hotel Koll di Erbil (Iraq), si è perfezionato l’incontro con il rappresentante del Ministero degli Interni, addirittura presso una delle sue sedi. Lì si è proceduto a rendere più efficace l’attività dell’associazione, cercando di renderla più collegata agli interventi già portati avanti da altre associazioni di volontariato per il Kurdistan. Ci si è lasciati con un aggiornamento riguardo al numero definitivo di profughi progressivamente giunti al campo da Siria, Turchia e altre zone dell’Irak, tutte unificate dalla comune etnia kurda.
Sette – Ottomila profughi oggi presenti nel campo. Si tratta di un campo allestito in modo provvisorio, aperto solo poco meno di due mesi fa.
D’estate si è costretti a ricorrere ai condizionatori all’interno delle tende, visto che la temperatura supera spesso i 40 gradi; d’altra parte ogni tenda ha possibilità di accesso a servizi base come attacco luce, acqua potabile e altri (vivande particolari, suppellettili, ghiaccio in blocchi (per il mantenimento dei cibi); d’inverno il problema principale, invece, è il fango, visto che le temperature non vanno mai sotto i 15 gradi.
C’è un attrezzato ospedale, con servizio di primo intervento, con farmacia annessa dotata di ogni confort. Tutte le medicine sono di origine governativa e, anche sotto questo punto di vista, non si può che encomiare l’operato del rinnovato governo del territorio autonomo del Kurdistan iracheno. Anche alle malattie infettive si cerca di porre un freno: ogni mese vengono rinnovate vaccinazioni per le malattie infettive e non vengono accettati nuovi profughi se non dopo opportune vaccinazioni.
Impressionante la progressione delle presenze, passate dal 16 settembre al 30 settembre da 3.500 (vedere sotto) a ben 7.040.
Un’altra realtà importante con cui siamo entrati direttamente in contatto è quello della scuola allestita al di sotto di un grande capannone dismesso, della grandezza pari ad un campo di calcio. In questa struttura vengono impartite lezioni, per quanto è possibile a classi anche di 120 elementi, fino all’età di nove anni. Quelli più grandi usufruiscono di un servizio di trasporto gratuito verso la vicina città di Erbil. Si tratta di un lavoro al limite delle possibilità educative normalmente accettabili, con un numero di insegnanti ampiamente al di sotto del necessario, problema solo parzialmente mitigato da una grande volontà dei docenti stessi, testimoniata in una doppia intervista rilasciata alla nostra delegazione.
Senza accorgercene ci siamo trovati nella necessità di riprendere il viaggio di trasferimento verso Duhok dove si è arrivati , poi, in serata.
I dati dei rifugiati (aggiornati al 16/9/2013)
DOMIZ————————- 87729 30465
AL OBAIDI CAMP————- 1981 409
KAWERGOSK CAMP——- 12272 3338
BAHARKA CAMP————–3545 857
QUSHTAPA CAMP————– 3752 829
ARBAT CAMP——————–2395 683
AKRE——————————2023 674
BARDERASH———————1487 434
QASROK—————————-526 161
ZAHKO——————————790 218
BASIRMA CAMP—————– 2567 537
Total———- 111.067 38.605
Delegazione Italiana in Kurdistan (Iraq)
Foto: UNICELa parte fondamentale del viaggio: la visita al campo di Mahmura; il campo dei profughi siriani di Domiz nel nord Iraq; la visita al Centro Zoroastriano di Lalish.
La visita al campo di Domiz
Già solo il dato di partenza è impressionante: di 230.000 profughi siriani in Iraq ben 120.000 sono a Domiz nei pressi della città di Duhok. Una distesa di tende e di rassegnazione che, però, fa intravvedere più di una possibile possibilità di riscatto. Nella possibilità di andare a lavorare liberamente a Duhok o a Erbil, nella condizione di essere liberi e volerlo continuare ad essere nonostante le restrizioni del campo.
L’impatto, infatti, non è stato facile. Si è visto fin dal giorno prima che le guardie di controllo all’ingresso del campo sarebbero state – giustamente – fiscali e attente fino alla minima infrazione alla prassi. E prassi voleva che fosse il responsabile generale stesso del campo a farsi, in qualche modo, primo “filtro” di tutte le richieste, necessità o altro che potevano provenire da parte nostra. Ma passiamo al contenuto vero e proprio dell’esperienza.
E’ il più grande campo di rifugiati siriani in Kurdistan ed è stato aperto nel 2012. All’inizio era previsto per 20 – 25.000 persone, ma a causa del peggioramento della situazione ora ne contiene da 50.000 a 60.000. Numero che arriva anche a 90.000 se pensiamo anche ai piccoli campi disseminati sul territorio della provincia di Duhok e in qualche modo ricongiungibili allo stesso centro di Domiz. Ci ricorda subito, a scanso di equivoci , che la situazione è sostenuta fino all’ottanta per cento dal governatorato autonomo del Kurdistan , facente parte della federazione Iraqena. Anche i numeri da cinquanta a sessantamila sono obbligatoriamente approssimativi perché il numero delle persone che entrano ed escono dal campo è difficilmente valutabile. Esiste una palpabile presenza dell’ONU sia in termini di aiuti che di presenze, ma – in ogni caso – la gestione è del governo kurdo.
Ci viene subito detto che il problema principale del campo sta nella mancanza di un sistema fognario degno di questo nome. Pertanto l’igiene è scarsa, quando piove si trasforma tutto in un informe pantano fangoso, per non parlare di quando nevica. Alcune foto all’interno della segreteria generale del campo sono, da questo punto di vista, drammatiche. Persone che cercano disperatamente di liberare dal peso della neve la propria tenda, altre che con sistemi di fortuna vanno a ripristinare i servizi base per la vita di loro stessi e delle loro famiglie.
Ci ricorda, quasi immediatamente, e ce lo ripete più volte che – secondo lui – non sono gli stessi i trattamenti nei confronti del campo di Domiz e in quelli allestiti – sempre grazie all’ONU – in Giordania o in Turchia. Sostanzialmente si lamenta di essere stato lasciato piuttosto solo nella gestione di un’emergenza così grande con pressioni provenienti da ogni parte. Dalle difficoltà di inserimento nella stessa società civile kurda locale, alle necessità di cibo, attrezzature, medicine e quant’altro che evidentemente non sono ritenute di pari peso rispetto ad altre realtà. Un problema su cui insiste molto e, che, sicuramente, sarà da prendere in considerazione. E “mentre i Paesi del Golfo hanno assicurato grossi investimenti per i rifugiati in Turchia, non così è per quelli di Domiz”.
Sempre nel corso dell’incontro, che è durato molto ed ha avuto una “coda” con ripresa televisiva effettuata dal nostro Lorenzo Giroffi, è risultato che è stata temporaneamente chiusa la frontiera con la Siria per via delle elezioni (che si sono proprio svolte la scorsa domenica con la vittoria del PDK) e che c’è stato un picco di affluenza nel corso dello scorso mese di agosto: dal 15 agosto al 15 settembre sono arrivati più di sessantamila rifugiati siriani in Kurdistan. Nella sola giornata del 16 agosto sono arrivati più di diecimila rifugiati siriani. E, da allora, l’affluenza è stata di più o meno di 1000 rifugiati al giorno. Ormai ci troviamo in una situazione di completa saturazione. Questo campo è completamente pieno e non può ricevere altri ospiti.
L’acqua a tutt’oggi non è erogata in modo regolare con forniture pubbliche ma fornita con autobotti con aggravio di spesa a carico del governatorato autonomo. Sono in via di costruzione collegamenti con i sistemi idrici dei vicini centri abitati ma per il momento non si è ancora è ancora terminato nulla. Sembrano esserci anche buone notizie per l’irrigazione dei campi vicini ma, anche qui, siamo all’inizio di un periodo – che sarà lungo – di normalizzazione.
Per il resto, esiste un sistema educativo accettabile per il gran numero di utenti, c’è un centro sanitario per le cure di primo soccorso e ve ne è un altro in via di costruzione. Sono presenti uffici del governo e della polizia e sotto questi punti di vista la situazione di questo campo non è differente da quello di altri centri abitati di media grandezza. C’è in costruzione un centro per la prevenzione della violenza sulle donne. Gli ospiti di Domiz non hanno un particolare riconoscimento come “rifugiati” ma sono liberi di andare e venire come vogliono, come qualsiasi altro cittadino.
Si registra qualche lamentela al di fuori dell’Ospedale ma siamo nelle condizioni di normale dialettica presenti in tutti i centri sanitari. Buona, invece, l’impressione avuto rispetto alle apparecchiature sanitarie, alle modalità di cura e alla disponibilità del personale medico.
Il sistema educativo del campo di Domiz.
Ci sono già tre scuole perfettamente operative e sono in via di costruzione altre quattro scuole. Sono “assistiti” in tutto 750 bambini dai sette ai quindici anni. Ci sono, secondo gli insegnanti contattati, da trenta a quaranta allievi per classe. La scuola che abbiamo avuto modo di visitare direttamente è solo una delle tre del campo ma ha dimostrato tutti i tratti costitutivi di una scuola di questa parte del mondo, senza discostarsi di molto dalla media educativa fornita dagli altri centri scolastici esterni. Si cerca di mantenerli per aree di provenienza per cui si hanno 1430 alunni in una scuola detta “Qamishli”, 720 in una detta “Kar” e ben 1440 in quella detta “Jiyan”. E’ prevista l’apertura a breve di altre tre scuole, per cui il numero totale sarà di sei. Questo, evidentemente, a causa della forte pressione dei profughi in costante arrivo.
Essendo alunni provenienti da una realtà “araba” in prevalenza, come quella della Syria, è comprensibile l’utilizzo dell’arabo come lingua base per tutte le materie, anche se al kurdo viene riservata una particolare attenzione. Su questo, anche pensando ad una futura nuova configurazione dell’intero Kurdistan, sarebbe opportuno soffermarsi con calma, poiché è evidente che – se si vuole dare forza ad una lingua – bisogna usarla in tutte le occasioni possibili (e in questo caso nelle varie materie di studio).
La visita al Centro Zoroastriano di Lalish.
Molto significativa, poi, la visita al centro religioso di Lalish. Si tratta dell’antico culto del dio Ahura Mazda e di tutte le credenze ad esso riconducibili. Prima di tutto l’ambientazione particolare; si è scelto di piazzare uno dei più grandi centri di questa religione in una valletta meravigliosa, con ombra e vegetazione abbondante , in forte contrasto con la circostante area semidesertica che caratterizza questa regione tra il confine turco e quello iraniano. Un vero giardino di delizie che accoglie il visitatore con il coinvolgimento di tutte le facoltà sensoriali, portandolo a diretto contatto con il mazdeismo, la religione dei forti contrasti, dell’eterna lotta tra bene e male, della lotta della luce per sfavillare in tutto il suo splendore. Si è visitato il luogo di sepoltura di Serxadi, uno dei profeti dello zoroastrismo si proceduto ad alcune pratiche propiziatorie in vista di una purificazione interiore (non a caso si è passati attraverso camere buie con enormi recipienti pieni di pece nera, traccia di precedenti utilizzi rituali. Terminato l’intermezzo culturale – religioso, ci si è rimessi in cammino per Mahmura.
La visita al campo di Mahmura
E’ uno dei più antichi campi di accoglienza dell’Iraq, già operativo ai tempi di Saddam Hussein. Ormai ha raggiunto i venti anni di funzionalità con ben trecento volontari che – in qualche modo – lavorano nel campo. Hanno raggiunto il numero ragguardevole di 10.700 unità e sono concentrate soprattutto nel campo principale – ormai diventato una piccola città con i suoi dignitosi edifici in pietra e molti punti di incontro per la popolazione tra cui un capiente teatro. Si dice, ce lo dice il dottore che ci ha accompagnato per tutto il tempo, che Mahmura sia sorta su uno spazio di terreno aridissimo, prima solo infestato da scorpioni ed ora diventato ben altro”. L’impatto iniziale non è stato dei migliori in quanto si è dovuto sottostare al “ritiro” dei passaporti per tutti i membri della delegazione in uno dei tantissimi posti di blocco incontrati lungo il viaggio. L’impegno, poi mantenuto, è stato quello di ridare tutti i documenti il giorno dopo (il due ottobre) una volta espletati tutti i procedimenti di rito.
Comunque, alla sera del primo ottobre entriamo a Mahmura e subito siamo accolti da una calorosissima accoglienza e ospitalità che, oltre che in una deliziosa cena, si è concretizzata nell’utilizzo delle strutture del campo stesso per passare la notte.
Come è noto è in corso una operazione sanitaria in grande stile che ha visto all’opera alcune strutture ospedaliere italiane, soprattutto emiliane, che si sono impegnate nella raccolta e spedizione di materiali e strumentazioni sanitarie dall’Italia fino in Iraq tramite TIR. Tutti i prodotti inviati sono arrivati in perfetto stato di conservazione e ora si sta allestendo la struttura ospedaliera vera e propria – sempre con denari della cooperazione internazionale – su un’area adiacente al campo in buona posizione logistica. I dettagli del progetto sono stati precisati, nel corso di una breve manifestazione che si è svolta presso la Municipalità di Mahmura, dallo stesso Sindaco e da alcuni consiglieri e collaboratori che con dovizia di particolari e visita al luogo del nuovo impianto, hanno specificato quali saranno i passi da affrontare per ottenere il risultato che tutti attendono.
L’area destinata ad ospedale avrà un’ampiezza complessiva di 1300 mq e sarà strutturata in modo tale da esaurire le necessità del campo-villaggio di Mahmura e, anche, di realtà vicine.
Prima della cerimonia, sempre nella mattinata del giorno due ottobre, si è svolta una commemorazione di alcuni caduti per la libertà del Kurdistan inseriti nell’albo d’onore del PKK. Si tratta di Cicek, Roserin, Aliser, Rustem, Maria, Xebat. Il tutto all’interno di un aggiornamento dello stato delle trattative tra Stato Turco e rappresentanti del popolo Kurdo turco.
Bisogna, infine, ricordare che il campo di Mahmura è l’ultimo luogo in cui hanno potuto trovare riposo gli abitanti delle zone di Hakkari e di Sirnak nel Kurdistan turco, dopo una lunga peregrinazione che li ha portati a dure repressioni, per esempio a Xakurke, oppure a sperimentare gli effetti di bombardamenti anche con gas così come è avvenuto a più riprese (l’ultima nel 20 ottobre 2011).
Sono quindi presenti su questo territorio dal 1998 e sono riusciti a portare circa tremila alunni alla scuola allestita nel campo realizzando quello che hanno sempre desiderato, poter vivere la loro vita da entità differenti rispetto a quella dominante turca, con la possibilità di studiare in “kurmanci” , in “sorani” e in inglese. Una condizione di forte partecipazione alle decisioni che continua a permeare tutto il campo-villaggio e lo rende, in qualche modo, un modello. Il sindaco, infatti, viene rieletto ogni due anni e tutti gli abitanti con più di 17 anni hanno diritto al voto. Una popolazione desiderosa di inserirsi nel tessuto più ampio del Governatorato del Territorio Kurdo con circa il novanta per cento della popolazione impegnato giornalmente all’esterno del campo in attività edili o di servizio pulizie, con qualche elemento cresciuto nel campo che ha potuto laurearsi e ci tiene a mantenere un rapporto stretto di collaborazione con il campo stesso.
La giornata del due termina con il trasferimento alla grande città di Suleymania di cui daremo cenno in altro resoconto.
Delegazione Italiana in Kurdistan (Iraq)