mercoledì 2 maggio 2012





 

  Elenco dei partecipanti al Newroz 2012









Delegazione italiana a Diyarbakir, Sirnak,Uludere,Roboski Hakkari, Yuksekova, Van, Diyarbakir



Antonio Olivieri - Alessandria
Nadia Bellan - Alessandria
Sabato Saggese - Alessandria
Giorgio Barbarini - Pavia
Alfonso Augugliaro - Messina
Lucia Giusti - Alessandria
Andrea Piccinini - Torino
Daniela Pantaloni - Torino
Roberto Colarullo - Torino
Valerio Bruschini - Perugina
Delio Angelucetti - Alessandria
Nicolina Puleio - Alessandria
Giuseppina Coscia - Alessandria
Fabrizio Moretti - Firenze
Guido Degiorgis - Pavia
Chiaretta Celli - Novara
Antonio Baiano - Torino
Roberta Ravoni - Roma
Mirca Garuti - Modena
Goretta Bonacorsi - Modena
Donatella Perfetti - Perugina

Interprete: Ayse Lerzan Caner - Istanbul
NEWROZ A  DIYARBAKIR - 18 MARZO 2012 


Centinaia di migliaia di persone sono affluite nella spianata di Baglar,
sottomunicipalità di Diyarbakir, ed hanno celebrato, pure quest’anno, il Newroz,  nonostante l’imponente dispiegamento di forze di polizia, che ha cercato di impedire l’accesso con ogni mezzo:  cariche, lacrimogeni CS (anche dagli elicotteri), cannoni ad acqua.
Quest’anno, il Newroz era stato vietato ufficialmente due giorni prima della celebrazione, con la motivazione, pretestuosa, che avrebbe dovuto essere celebrato il giorno 21 Marzo!
Come se, a decidere la festa di un partito di opposizione, dovesse essere il  partito di governo!
Anche le nostre delegazioni, sono arrivate con difficoltà alla spianata insieme a  di migliaia di famiglie, che hanno sfidato il divieto governativo, attraversando viuzze e strade di campagna, per aggirare i blocchi.
All'inizio un minuto di silenzio con le mani in alto, divaricate a V, in onore dei martiri; “Biji Serok Apo”, (Viva il Presidente Apo), lo slogan più gridato.
Sono poi arrivati i bus del partito BDP con i dirigenti e i parlamentari; sono seguiti gli interventi  di Osman Baydemir, sindaco di Diyarbakir,  di Ahmet Turk, vicepresidente del DTK e parlamentare, Aysel Togluk, copresidente del DTK, Leyla Zana, parlamentare,  Selatin Demirtas,  copresidente del BDP.
Verso le 15,00, la folla è defluita verso l'uscita, dando vita a numerosi cortei, non senza provocazioni della polizia e conseguenti scaramucce e scontri, che sono proseguiti nei quartieri della città sino a sera.
In particolare, alcuni delegati italiani hanno  assistito al pestaggio ed all’arresto di un ragazzino nelle periferie, ove gli scontri sono stati più diffusi e continuati.

INCONTRO CON LA MUNICIPALITA’ DI SIRNAK – 19 MARZO 2012


Da Diyarbakir a Sirnak, un viaggio di cinque ore.
Ad attenderci, davanti alla sede del municipio di Sirnak, c’era il vice-sindaco, Abdul Hamit, insieme ad alcuni consiglieri e membri del partito Bdp.
Veniamo ospitati nella sala del Consiglio comunale e subito ci dicono che, del Consiglio comunale uscito dalle ultime elezioni, sono in carcere il sindaco, Ramazan Uysal,  e 17 consiglieri comunali su un totale di 19! Anche il precedente sindaco, Ahmet Artak, è tuttora in carcere.
All’inizio, la discussione si è incentrata sul progetto dell’associazione Verso il Kurdistan, la cui attuazione ha trovato una serie di ostacoli e difficoltà a seguito della mancanza di medici ed infermieri disponibili a lavorare al Centro sanitario della municipalità e sull’ambulanza. Viene comunque trovata una soluzione per quanto riguarda l’invio e la distribuzione di medicinali gratuiti alle famiglie bisognose.
Si è poi passati ad un esame della situazione attuale in zona e a livello più generale.
Ci dicono che gli arresti sono la norma, tantoché, in questi ultimi giorni, sono state tratte in arresto 11 persone, di cui 5 sono tuttora trattenute in carcere. Inoltre, ci sono 25 minori nella prigione di Mydiat, accusati di  aver partecipato  ad una manifestazione.
Ora stanno arrestando tutti i figli di membri del Bdp, come forma di ricatto verso i padri.
Tutti i sindaci di questa zona sono in carcere, tranne tre dei centri più piccoli.
Da trent’anni, l’esercito turco bombarda le montagne circostanti, anche con armi chimiche,  per stanare i guerriglieri; e siccome i risultati sono stati scarsissimi, ora se la prendono con la popolazione civile, a cominciare, per l’appunto, dai minori!
A Cizre, un bambino di dodici anni è stato condannato al carcere e poi liberato dopo tre mesi; un altro bambino, invece, è stato condannato a 60 anni!
Un consigliere comunale ci racconta che suo fratello è in carcere e la madre è morta a causa di un candelotto lacrimogeno sparato dalla polizia. E questo è avvenuto mentre la stavano trasportando in ospedale.
Il Codice Penale turco prevede il non-arresto fino all’età di quattordici anni, ma il governo aggira le leggi con continue circolari in deroga.
La situazione ha carattere più generale.
Da otto mesi, Ocalan non può incontrare né i suoi avvocati, né la sua famiglia. L’Europa è silenziosa, nessuno dice nulla.
Ci sono madri detenute in carcere da vent’anni solo per aver festeggiato il Newroz; in ogni famiglia di Sirnak, c’è qualcuno che è o è stato in prigione.
Tuttora in Turchia, ci sono oltre seimila prigionieri politici che non hanno commesso reati di sangue.
Negli ultimi tre anni, sono stati uccisi una quarantina di guerriglieri con armi chimiche e, altrettanto grave, è l’episodio del 28 dicembre scorso quando a Roboski, sono stati bombardati e uccisi 34 giovani civili frontalieri.
Alcuni episodi per rendere più chiaro il clima repressivo di questa zona.
Un consigliere di Sirnak è stato arrestato con l’accusa di entrare ed uscire molte volte dal Municipio!
La stessa cosa è successa ad alcuni operai impegnati in lavori all’interno del Comune!
La scorsa settimana, 194 persone, donne, uomini, funzionari, sono stati interrogati dalla polizia per aver partecipato a riunioni indette dal Comune per discutere dei problemi e delle necessità del proprio quartiere!
A Cizre, c’è stato un congresso del Bdp e tutti i membri del partito sono stati arrestati, ma nuove persone hanno preso il loro posto. Anche questi sono stati arrestati ed ora c’è un nuovo gruppo dirigente: e la lotta continua.
Per dare un’idea: soltanto nel centro di Sirnak, sono state tratte in arresto 200 persone, che diventano 360 con i villaggi vicini. Altre 300 sono scappate, all’estero o sono in montagna!
Con questi metodi, la polizia spera di intimidire le persone ed ottenere l’allontanamento dalle politiche del Bdp: la miglior risposta è stata il milione di persone del Newroz di Diyarbakir.
Il vice sindaco ha concluso con queste parole: “ Come popolo abbiamo pagato molto, ma siamo pronti a pagare ancora di più. Per ogni persona arrestata, dieci persone sono pronte a prendere il suo posto. Noi abbiamo avuto 20 mila martiri, ma il movimento continua. Solo nell’ultimo anno in Turchia, ci sono stati diecimila arresti, ma noi continuiamo con la stessa determinazione”.
Poi, rivolto a noi: “Voi siete molto preziosi per noi. Aiutateci, sostenete le nostre organizzazioni in Europa. Noi non siamo terroristi, noi siamo il popolo kurdo! Noi vogliamo che tutti i popoli possano usare liberamente la propria li









































































































INCONTRO CON LA MUNICIPALITA’ DI  ULUDERE  - 20 MARZO 2012        

Martedì 20 Marzo 2012, siamo stati ad Uludere, ove abbiamo incontrato l’attuale Sindaco, Fehmi Yaman, nonché il Presidente del BDP, Yunus Urek.
Fehmi Yaman ha preso il posto della Sindaca, Sükran Sincar, che avevamo conosciuto l’anno scorso e che è stata costretta a fuggire in Europa, essendo stata condannata a dieci anni di galera per aver difeso i diritti delle donne e degli uomini di Uludere.
Per completezza d’informazione, va detto che questo è un vizio di famiglia, soprattutto  delle donne  Sincar, poiché anche la madre è stata condannata a dieci anni, cosicché pure lei è riparata all’estero.
 
Sia il Sindaco che il Presidente del BDP ci hanno confermato che, negli ultimi due anni, l’oppressione politica e  psicologica è  spaventosamente aumentata, avvicinandosi pericolosamente a quella degli Anni Ottanta.
Hanno, poi, aggiunto un particolare interessante:  l’AKP, il partito del premier Erdogan,  sia quando ha preso il potere, sia nel corso della recente campagna elettorale, ha fatto molte promesse alla popolazione kurda, tanto è vero che alcune decine di migliaia di persone  lo hanno votato, salvo pentirsene pressoché immediatamente.
Infatti, vinte le elezioni, l’AKP non solo non ha mantenuto le promesse, ma ha intensificato la repressione, come dimostrano gli 8.000 prigionieri politici, detenuti nelle galere turche, impiegando tutte e due mani: quella militare contro la guerriglia e quella politico-giudiziaria contro la popolazione civile,  gli intellettuali, i dirigenti del BDP , i sindaci e gli amministratori comunali.
 
Un altro particolare interessante e drammatico è il seguente: l’elevato numero di suicidi dei Kurdi, che sono costretti a prestare il servizio militare nell’esercito turco; nella popolazione è presente il sospetto che questi suicidi non siano altro che uccisioni camuffate.
Inoltre, da qualche anno a questa parte, i giovani militari kurdi non sono più mandati nella Turchia occidentale, bensì in quella orientale, cioè nel Kurdistan, cosicché vengono impiegati contro i loro connazionali, sia nelle operazioni antiguerriglia, sia nel mantenimento dell’ ”ordine pubblico”.
Abbiamo, infine,  parlato del progetto di canalizzazione delle acque che l’associazione Verso la Mesopotamia sta portando avanti con la provincia autonoma di Trento. Ci hanno spiegato che il progetto sta andando avanti: hanno fatto la strada, hanno messo il basamento ed hanno comprato i materiali.            Inizieranno a lavorare dopo aprile-maggio, quando finirà la cattiva stagione,  e prevedono di concludere i lavori entro luglio 2012. Questo significa che, mentre oggi l’acqua arriva nelle case per due ore, con la conclusione dei lavori i cittadini di Uludere avranno l’acqua per ventiquattro ore.
La riunione si conclude con un’ultima notizia di ordinaria repressione: da oggi,  la gendarmeria ha già bloccato le strade, per impedire la celebrazione del Newroz, prevista per domani, 21 marzo!





ROBOSKI – 20 marzo 2012

Si esce da Uludere  e si scende sulla statale che collega Sirnak ad Hakkari. Dopo pochi chilometri, si imbocca una deviazione a destra e si percorre per una buona mezz’ora una strada, quasi una mulattiera, in mezzo ad alte montagne innevate e a vallate che cominciano a tergersi dei colori della primavera.
Ogni tanto spuntano villaggetti ai lati della strada con casupole di terra cotta al sole; tutt’intorno, capre, mucche asini e tanti bambini.
Arriviamo a Roboski e passiamo oltre verso il cimitero dove sono sepolti i corpi, o meglio i poveri resti, di trentaquattro vittime del bombardamento chimico del 28 dicembre sulle montagne che segnano i confini con l’Iraq.
Le vittime, tutti ragazzi giovani erano contrabbandieri, come lo sono gli abitanti del villaggio, una realtà che non offre alternative occupazionali. In questa zona, il contrabbando viene praticato da decenni: l’unico modo per sopravvivere.!
All’arrivo, ci aspetta una scena commovente: una lunga fila di uomini, donne e bambini, si allungava fino all’ingresso del cimitero, un piccolo cimitero stracolmo di fiori plastificati, piantati sulle misere tombe.
Ogni uomo ed ogni donna – madri, padri, sorelle, zii – tengono in mano una fotografia di un proprio parente assassinato in quella notte.
Commossi, abbiamo stretto mani e abbracciato, tra le lacrime, tutte le persone in fila, una ad una, mentre loro ci mormoravano parole di benvenuto, insieme a parole di disperazione.
Una scena straziante che ci ha lasciati silenti e con gli occhi arrossati.
Ci spostiamo al cimitero e qui, in mezzo alle tombe, ognuno vuole raccontare fatti e momenti che hanno caratterizzato quella fatidica notte della strage.
Racconta uno dei due sopravissuti: “Gli aerei turchi ci hanno sparato addosso bombe chimiche. I corpi erano anneriti, come carbonizzati, sparsi in molti pezzi sulla neve, insieme agli arti mutilati degli asini che trasportavano la merce; gli uni mischiati agli altri, uomini ed animali, irriconoscibili.
La bomba mi ha scaraventato lontano: a salvarmi è stata la kefia che mi copriva il volto immerso nella neve fresca. Tutt’intorno, l’aria era come aspirata.
Siamo partiti verso le tre e mezza di notte dall’Iraq, con sei asini con le some cariche di gasolio e di altri materiali (ogni asino può portare un carico di 130 litri di carburante da vendersi a non meno di 200 lire turche, con un guadagno netto di 50 lire turche a carico).
Arrivati sulla linea di confine, come sempre, con il cellulare, abbiamo avvisato le nostre famiglie che ci hanno detto di non proseguire perché le quattro strade che scendevano a valle, erano bloccate dai militari e dalle squadre speciali.
Quando, alla fine, siamo ripartiti sono arrivati i droni turchi a bombardarci.
La giustificazione fornita da Ankara è stata, a dir poco, banale: “abbiamo commesso un errore – hanno detto – e ce ne scusiamo! “
Ci parla poi un contadino del luogo: “Nel lasso di tempo che ha separato i due bombardamenti avvenuti sulle montagne di Roboski – dice – io ho telefonato al comandante della caserma. E questi mi ha detto testuali parole: ‘Non preoccuparti, spariamo solo per intimidire".
In realtà, l’operazione era pianificata a tavolino tanto più che il Pkk non ha mai utilizzato quelle strade per le sue incursioni!
Ora la registrazione della telefonata con il comandante della caserma fa parte degli atti depositati al tribunale di Ankara”.
Al termine, la sorella di un martire ci legge la lettera scritta al fratello morto sotto le bombe.
Non ci potremo mai dimenticare di quello che abbiamo visto a Roboski, quei volti, quelle lacrime, la disperazione di quella gente di montagna ci accompagnerà per tutta la vita.




La nostra ninna-nanna è il fragore delle bombe

(dedicata a Mahsun Encu, ucciso dalle bombe di Roboski)



Quando ero ancora in fasce,
mi addormentavo con la ninna-nanna della mia mamma,
ora il mio sonno è accompagnato dal fragore delle bombe.
Un angelo della morte, Azrali,
è arrivato in un tempo inaspettato.

Ci hanno ucciso senza pietà,
mio padre mi ha portato in spalle fino al villaggio,
ci hanno messi in fila sulla neve;
mia mamma ha abbracciato il mio corpo,
ma il suo abbraccio non è stato sufficiente a riscaldarmi.

Ho freddo, il mio corpo è di ghiaccio.
Cara mamma, questo è il nostro ultimo incontro: abbracciami forte,
riscaldami con il calore del tuo corpo.

Che cosa sono quei segni viola sul mio corpo?
La morte è così triste,
i miei sogni si sono interrotti,
mi hanno messo in una fredda bara,
mi hanno avvolto con un telo bianco.

Non immaginavo questa separazione,
la morte è arrivata all’improvviso
ed ora è tempo di fare un rendiconto della mia breve vita.
Ecco, io parto ora,
mi hanno messo nella tomba,
mi hanno coperto con la sabbia,
ora sono solo, non c’è più nessuno,
non c’è mia mamma, non c’è mio papà,
non ci sono i miei cari accanto a me.

Cara mamma, non ho potuto abbracciarti per un’ultima volta,
mi aspetterai, ma tuo figlio non ritornerà.
Tuo figlio non potrà più abbracciarti.
Ti aspetterò quando visiterai la mia tomba,
la tua preghiera mi salverà.
Vieni sempre mamma,
ti aspetterò fino alla fine del tempo
(scritto da Rihon Encu, mamma di Mahsun Encu)




MIO ANGELO     (dedicata al martire di Roboski,,Husnu Encu)

Mio carissimo
non ho potuto annusarti,
non ho potuto sentito il tuo odore,
ci hanno separati,
due mesi prima che tu nascessi.
Sono stato molto vicino a te
ancor prima della tua nascita.
Con la tua mamma,
ti abbiamo aspettato per tanti anni.

Sei arrivato all’improvviso,
ti ho aspettato con speranza,
ma non ti potrò abbracciare.
Hanno distrutto i nostri sogni,
da molti anni aspettavo un angelo,
ma l’angelo che aspettavo non era Azral.

Quando ancora ti aspettavo,
è arrivato l’angelo della morte
ed ha preso la mia vita prima che diventassi papà.
Non potrò vedere i tuoi primi passi,
non vedrò il tuo primo sorriso,
non sentirò il tuo primo pianto.

Non  vedrò il momento in cui mi chiamerai,
con la tua voce da infante, “papà”.
Aprirai i tuoi occhi sul mondo senza babbo,
come il nostro Profeta.
Né tu potrai conoscere il mio sentimento d’amore per te,
né io potrò sentire quello di mio figlio.
Per un bidone di gasolio hanno bruciato tuo papà carissimo,
ti hanno fatto diventare orfano, prima ancora che tu fossi nato.
Lascio questo mondo,
luogo abitato da gente crudele.
Ho aspettato per molti anni un angelo,
ma l’angelo che ho aspettato non era l’angelo della morte, Azral.
Ti ho aspettato, ma Azral è arrivato prima di te.
Sei in ritardo per il tuo babbo carissimo,
ora le campanelle della separazione risuonano,
il vento che ci dividerà, è arrivato all’improvviso.
Non ti ho mai visto, figlio mio diletto,
ma il tuo babbo ti ha amato molto, angelo mio.
(scritto da Narin, moglie di Husnu Enc

Dal villaggio di Roboski al Newroz di Hakkari: 20 – 21 marzo 2012


Dopo Roboski, la nostra delegazione è partita per Hakkari.
Al posto di blocco, come da prassi, siamo stati fermati, precisamente al ponte sul fiume Habur/Khabur, nella cui vallata gli Accadi, primi in assoluto, cominciarono a coltivare la vite, intorno al 2.500 A.C.; un fiume carico di storia, soprattutto per i seguaci di Bacco.
Dopo un rapido controllo, i militari ci hanno restituito i documenti, cosicché siamo ripartiti ed abbiamo superato ben altri cinque posti di blocco, dove non siamo stati neppure fermati.
A pochi chilometri dalla città di Hakkari, siamo invece stati fermati da poliziotti in borghese.
Dopo aver controllato e restituito i documenti, ci hanno detto, però, che era preferibile che non andassimo ad Hakkari, perché i ragazzi kurdi, che avevano già cominciato a tirare i sassi, li avrebbero scagliati pure contro l’autobus “straniero”!
Di fronte alla nostra decisione di proseguire, l’atteggiamento dei poliziotti è completamento cambiato: hanno fatto fermare nuovamente l’autobus, ci hanno fatto scendere, lo hanno perquisito, “naturalmente” senza alcun mandato, hanno cominciato a piantare altre grane.
La situazione si è sboccata dopo un’ora e mezza, grazie, sia alla telefonata fatta all’ambasciata italiana, sia agli avvocati dell’IHD giunti sul posto da Hakkari.
Ci siamo soffermati su questo episodio per i seguenti motivi:
7 posti di blocco in 150 chilometri; il posto di blocco prevede la presenza di due piccole fortificazioni, sacchi di sabbia, carri armati, sia pur vecchi e militari con i mitra spianati.
Di fronte alle vessazioni che dipendono anche dall’umore dei militari, in uniforme o in borghese che siano, i kurdi non hanno ambasciate a cui rivolgersi.
All’ingresso di Hakkari, i ragazzi che, effettivamente avevano preso a sassate la lunga colonna di blindati, che ci aveva superato mentre eravamo fermi al posto di blocco, ci hanno salutato molto calorosamente: kurdi sì, scemi no!

Mercoledì 21 marzo, primo giorno di primavera, giorno del Newroz di Hakkari.

Insieme a decine di migliaia di persone, dai bambini di pochi anni agli ottantenni e più, partendo in corteo dal municipio, abbiamo raggiunto la spianata delle celebrazioni.
Sicuramente, l’elemento che colpisce, è la molto piacevole presenza di giovani di tutte le fasce d’età, cosa che costituisce uno dei punti di forza dei kurdi di cui loro sono ben consapevoli.
Non a caso, il dirigente del BDP che ci ha salutato prima della partenza da Roboski, ha detto: “Qui hanno ucciso 34 ragazzini, ma non possono ucciderci tutti. Io ho 38 anni e cinque figli; alcuni della mia età, ne hanno dieci”.
Tra canti, balli e discorsi politici, si è giunti alle 15.00, ora in cui il Newroz è arrivato alla fine e senza incidenti.
Pure qui, comunque, il molto democratico governo della Turchia ha voluto far sentire la sua presenza: il Capo della Polizia ha minacciato di far accompagnare la nostra delegazione all’aeroporto, se fosse stato letto il discorso che avevamo preparato, cosicché ci siamo dovuti limitare ad un breve saluto.
Inoltre, la polizia, aveva inizialmente sequestrato le bandiere del BDP, perché vi erano i colori del Kurdistan; i dirigenti del BDP hanno, però, dichiarato che avrebbero annunciato immediatamente la fine dei festeggiamenti del Newroz e che non avrebbero risposto delle reazioni dei giovani; a quel punto, le bandiere del BDP sono state riconsegnate e nuovamente issate.
Buon Newroz a tutti!



INCONTRO CON ERCAN BOVA, SINDACO DI YUKSEKOVA 22/3/2012

Ci dice che il BDP ha deciso di festeggiare il Newroz il giorno 20 marzo. La Prefettura ha negato l’autorizzazione con il pretesto che il Newroz deve essere festeggiato il 21 marzo e in una piazza diversa da quella decisa dal partito.
Ma il popolo kurdo di Yuksekova è sceso in piazza nel giorno stabilito, ovvero il 20 marzo.
La gente ha cominciato a marciare da vari quartieri verso la piazza del Newroz. La polizia ha adottato misure incredibili per impedire ogni assembramento: gas lacrimogeni, getti d’acqua e anche proiettili veri!
Gli scontri sono continuati tutto il giorno; la gente ha voluto, in questo modo protestare contro ogni impedimento.
Il giorno successivo i negozi sono rimasti chiusi, insieme al fermo di ogni attività: la serrata era indirizzata contro l’operato della polizia che aveva provocato a Yuksekova molti feriti, ma anche contro l’attacco al deputato Ahmet Turc, ferito a Batman dai poliziotti.
Il Ministero degli Interni aveva provvidenzialmente diramato una circolare che obbligava a tenere i festeggiamenti del Newroz il 21 marzo!
Ma la gente di Yuksekova ha ugualmente festeggiato il giorno 20 marzo la propria festa, una festa che è stata dedicata ad Abdullah Ocalan; gli impedimenti sono stati ignorati; l’intervento brutale della polizia ha provocato qualche ferito da lacrimogeni tra la gente, ma ben tre feriti gravi tra i poliziotti. L’opinione pubblica turca non ha protestato, anzi il Ministro degli Interni ha ringraziato i poliziotti per il lavoro fatto!
Ci dice il sindaco che, negli anni scorsi, il Newroz è sempre stato festeggiato tra il 15 e il 25 marzo. La politica del governo è quella di impedire l’unità del popolo kurdo.
Erdogan, prima delle elezioni, aveva detto ad Hakkari che c’è un problema kurdo e che va risolto, che turchi e kurdi sono fratelli.
Dopo aver vinto le elezioni, ha negato tutte le sue promesse.
Ci troviamo in una situazione particolarmente difficile.
Per pulire le strade di Yuksekova dalla neve, il governo ha stanziato la cifra di 55 lire! A Bitlis, dove nevica come a Yusekova, ma dove c’è una municipalità amministrata dal partito di governo, hanno dato 7 milioni di lire!
Il bilancio comunale è di sopravvivenza.
A Yuksekova non ci sono infrastrutture; hanno un costo complessivo di 150 milioni di lire turche e non ci sono soldi nelle casse comunali.
Attualmente, cinque consiglieri comunali sono in carcere e altri cinque sono latitanti. L’accusa che viene ormai pretestuosamente utilizzata è quella di appartenere al KCK.
La ex sindaca di Yuksekova, Ruken Yetiskin, è nuovamente in carcere.

INCONTRO CON L’ASSOCIAZIONE MEYA DER DI YUKSEKOVA 22/3/2012

400 famiglie di martiri fanno parte di questa associazione, su un totale di 700 martiri di Yuksekova. E’ la città che ha più martiri in assoluto.
Lo scopo dell’associazione è quello di aiutare e sostenere le famiglie più vulnerabili e più bisognose, spiegando loro perché i loro figli sono diventati martiri e perchè questa lotta è importante per il futuro. Un ulteriore scopo che si prefigge l’associazione è quello di fare la ricerca degli scomparsi.
All’incontro, sono presenti quattro ragazze destinatarie delle borse di studio del progetto Berfin.
1° ragazza. Fa la seconda liceo, suo padre era un guerrigliero ed è morto in montagna. Vuole frequentare l’università e diventare architetto.
2° ragazza. Frequenta la seconda classe del liceo di Yuksekova. Il suo villaggio dista alcuni chilometri dalla città e questo costituisce una grossa difficoltà. Una sorella è diventata martire sulle montagne, l’altra continua a fare la guerrigliera.
Il suo sogno è quello di diventare avvocato.
3° ragazza. Anche lei frequenta la 2° classe del liceo di Yuksekova. Abita molto lontano dalla sua scuola, per cui tutti i giorni impiega un’ora circa per arrivarci. Ha due zii guerriglieri, in montagna, uno di essi è diventato martire.
4° ragazza. Frequenta la 6° classe delle elementari. Ha due zii che sono morti in montagna e sono diventati martiri. Lei vuole fare l’insegnante.
Attualmente, le ragazze destinatarie delle borse di studio dell’associazione Meya Der – associazione dei martiri di Yuksekova – sono dieci.

INCONTRO CON IL VICE SINDACO DI VAN, BAHAR ORHAN  22.3.2012

Ci spiega la situazione della città di Van post-terremoto.
Molte famiglie di Van  sono state inviate in città vicine, che le stanno ospitando. Dopo la ricostruzione – ci dice - vogliamo che queste famiglie ritornino a casa loro.
All’indomani del terremoto, Van è stata divisa in cinque parti, e sono state allestite delle tende in vari punti della città.
E’ stato istituito pure un presidio sanitario e lì ci sono medici volontari che si spostano dove c’è bisogno.
Ma la terra continua a tremare, anche ieri c’è stata una scossa.
Aiuti ne sono arrivati da tutte le città della Turchia: vestiti, coperte, tende.
C’è anche un centro per le donne che si occupa di terapia psicologica per chi ha subito traumi.
Ma la gente ha paura di andare alle proprie abitazioni; siccome le scosse di terremoto si ripetono, si continua a vivere nelle tende.
Di recente, sono arrivati trentacinque containers: il governo ha dato prima la priorità ai poliziotti, poi ai militari e, per ultimo, alla gente comune.
Nei punti di coordinamento, ci sono docce e lavatrici.
La municipalità ha ricevuto i macchinari per la lavanderia collettiva, ma manca un posto dove collocarli.
Il governo invia gli aiuti solamente alla Prefettura e non concede nulla alla municipalità.
Quando lo Stato effettua i trasferimenti ai Comuni, trattiene il 40% per ripianare i debiti contratti: Van, nella situazione di emergenza in cui si trova, ha chiesto di soprassedere rispetto al pagamento di quanto sopra, ma non c’è stato nulla da fare: un dialogo tra sordi!
Adesso sono arrivati i containers: ma la municipalità deve farsi carico per attrezzarli dei servizi, senza alcun aiuto dalla Prefettura.
Hanno chiesto alla Prefettura di ricostruire almeno le strade, ma anche in questo caso la risposta è stata un secco no!
Molti palazzi di Van sono distrutti, la municipalità non ha una sede (ci ricevono in un prefabbricato che funziona come municipio), non c’è una stazione dei vigili del fuoco. Nulla di nulla.
Le scuole sono state riaperte, ma i corsi vengono tenuti all’interno dei containers: A Van, c’erano 76 scuole, 36 sono andate distrutte.
Il totale delle vittime è di 648 morti.
Una delegazione iraniana ha proposto un ospedale da campo, ma Erdogan ha detto ancora no!
Alla seconda grande scossa di terremoto, molta gente è morta per mancanza di cure.
Il governo ha rifiutato gli aiuti che provenivano da altri governi o associazioni internazionali.
Qualche organizzazione europea ha inviato i soldi, ma la Prefettura li ha trattenuti.
C’è un progetto di forno collettivo per il pane che si farà con i cinquemila euro di aiuti che abbiamo portato in questa occasione.
I quartieri dove sono collocati i containers sono stati militarizzati: nessuna associazione od ong può entrare.
Non c’è alcun aiuto da parte dell’esercito e delle forze di polizia.
Il governo ha censurato le immagini di Van distrutta.
La municipalità riesce ad intervenire solo sulle emergenze.
Gli abitanti effettivi di Van erano 500 mila, metà sono partiti, ma i responsabili della municipalità sperano in una rapida ricostruzione per creare le condizioni per il ritorno.
Al termine, abbiamo incontrato alcune bambine presenti in città dell’associazione dei detenuti politici di Van – Tuyad Der – ed abbiamo consegnato al presidente dell’associazione, il corrispettivo di dodici borse23 

Marzo 2012: incontri con l’associazione Tuad Fed e con le Madri per la Pace Diyarbakir


A Diyarbakir, nell’ultimo giorno della nostra permanenza, incontriamo i componenti di TUHAD FED, la federazione delle associazioni impegnate nella difesa e nell’assistenza dei detenuti politici e delle loro famiglie, con la quale, sin dal 1999, è stato attivato il progetto “Oltre le sbarre”, che permette il sostegno a trenta famiglie, che dopo l’arresto del capofamiglia o dei figli, si trovano in condizioni economiche particolarmente difficili.
Alla riunione, erano presenti un dirigente di Tuhad Fed, Latice Makas, ed un uomo che ha chiesto di non fare il suo nome, né di essere fotografato.
Ascoltando la storia della sua vita, ne abbiamo compreso la motivazione: ha 49 anni. Incarcerato all’età di 17 anni con l’accusa di far parte di una organizzazione “terroristica”, ha scontato 15 anni di prigione; rimesso in libertà condizionale, dopo soli due anni, è stato nuovamente condannato, per le stesse motivazioni, ad altrettanti 15 anni.
In carcere, ha avuto l’agio di formarsi una vera e propria cultura sul funzionamento dell’universo concentrazionario della Turchia, che affina continuamente i suoi strumenti di oppressione degli oppositori.
Dopo il colpo di stato del 12 settembre 1980, per circa un ventennio, la tortura divenne lo sport più praticato nelle galere di tutto il Paese; a Diyarbakir, quattro detenuti si diedero fuoco per protestare contro le inumane condizioni carcerarie.
In seguito, sono state istituite tredici prigioni di tipo “F” (attualmente, sono dodici, perché quella di Van è stata evacuata, dopo il terremoto dell’autunno scorso).
In queste carceri speciali, si mira all’isolamento totale del detenuto, avendo come obiettivo di fondo quello di annullare la sua personalità.
Quando arrivano in queste carceri, i detenuti sono obbligati a spogliarsi completamente, pur provenendo da altre prigioni, dove, com’è ovvio, sono stati controllati dalla testa ai piedi.
Spesso, i detenuti oppongono resistenza, si rifiutano; allora, vengono prima bastonati ferocemente, poi, avendo commesso il reato di resistenza a pubblico ufficiale, vengono rinchiusi, per un periodo di tre settimane, in celle per una sola persona.
Infatti, in queste carceri speciali, esistono due tipi di celle: per una e per tre persone.
La spersonalizzazione viene attuata anche costringendo i detenuti a fare una domanda scritta per ogni loro richiesta, che viene soddisfatta, se loro, in cambio, si attengono scrupolosamente agli ordini della direzione carceraria.
Sono previste attività socializzanti, ma i detenuti politici si rifiutano di parteciparvi perché hanno paura di uscire dalle loro celle; recentemente, la Corte di Cassazione ha annullato la condanna a delle guardie carcerarie che avevano ucciso un detenuto.
Alcuni detenuti chiedono ai famigliari di non far loro visita, perché sarebbero costretti a subire perquisizioni umilianti.
D’inverno, il riscaldamento non funziona; il cibo spesso è immangiabile; i medici sono scelti tra i militari che hanno prestato servizio in Kurdistan per cui gli arbitrii sono all’ordine del giorno (ad esempio, il nostro uomo ci racconta che aveva avuto problemi di cuore; per questo, è stato mandato dallo psicologo!).
Secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia, lo scorso anno 2011, sono morti in carcere, per mancanza di cure, 364 detenuti; attualmente, sono oltre cento i detenuti rinchiusi nelle prigioni turche, malati di cancro!
Il Paese che ha imprigionato più giornalisti, non è la Cina, ma la Turchia: ben oltre 100.
Ciliegina sulla torta: l’Europa ha dichiarato che le carceri di tipo “F” sono compatibili con il sistema carcerario europeo.
In queste carceri, sono presenti pure alcuni minorenni, la cui maggiore età è stata stabilita, discrezionalmente, dai giudici.
Non vi sono donne, invece, nelle prigioni di tipo “F”, ma questo non significa che siano loro risparmiati maltrattamenti e simili. I soldati le umiliano quando le portano in tribunale o in ospedale.
Emblematico, è quanto accaduto ad una donna, avente un solo rene, funzionante al 18%: non usufruiva né della dialisi, né di dieta adeguata; colpita da emorragia celebrale e portata in ospedale, ha ricevuto un pugno in testa da un ufficiale quando ha chiesto che i soldati uscissero dalla stanza; non è stata visitata e, verso sera, essendosi aggravata, è stata portata nuovamente in ospedale dal direttore del carcere, con la sua macchina.
La presidente di Tuhad ha ricordato che gli avvocati dell’associazione sono in carcere, che tre loro dirigenti sono stati messi in libertà soltanto da tre giorni, ma che il loro processo è tuttora in corso.
Ci ha poi presentato una donna che ha 7 familiari in carcere, di cui 5 hanno subito una condanna a 36 anni ciascuno, in quanto guerriglieri catturati in montagna.
Al termine dell’incontro, la delegazione ha consegnato alla presidente di Tuhad e ad un responsabile di Sthay Der di Siirt, il denaro, per i, rispettivamente, 30 e 14 affidi, che sono stati concordati con le due associazioni: per gni affido, la cifra è di circa 340 euro a testa, per anno.
Sempre nel pomeriggio del 23 marzo, abbiamo incontrato le Madri per la Pace, un simposio di donne, con un fazzoletto bianco in testa, per simboleggiare il lutto per un morto in famiglia, a causa del conflitto.
Questa associazione organizza manifestazioni, sit-in, conferenze stampa, per diffondere il proprio ideale: mettere finalmente fine a questa guerra.
Per questo, tenta di instaurare rapporti con le madri dei soldati turchi uccisi nel conflitto, ma la polizia si oppone e li ostacola in ogni modo; molte di loro hanno conosciuto il carcere duro.
Raife Ozbey ha perduto 7 famigliari in questa guerra trentennale; la sua vita è, insieme, un grande calvario ed una piccola odissea.
La sua famiglia abitava a Mus, ma l’esercito le bruciò la casa; scappò a Silvan, ma anche lì i tormenti continuarono: i figli erano vessati ed umiliati a scuola, di sera sconosciuti sparavano contro la sua abitazione, spesso il marito finiva in carcere; si trasferirono ad Adana, dove la situazione non mutò: la figlia, che frequentava un corso da infermiera, subì un’aggressione e fu medicata con venticinque punti di sutura in testa, il marito ed il figlio erano frequentemente agli arresti; si stabilì, infine, a Diyarbakir.
Attualmente la figlia è in montagna, nella guerriglia.
Adalet Yasayul è stata incarcerata anni fa; è stata torturata in vari modi per quarantacinque giorni di fila: i carcerieri le mostrarono della carne e del sangue, dicendole che era di suo figlio; la stuprarono con un bastone; è stata ripetutamente e selvaggiamente percossa; durante i sei mesi di carcere, apparve come una maschera di sangue; si è salvata grazie alle cure delle compagne di cella.
Quando fu rimessa in libertà, insieme alla famiglia, decise di trasferirsi ad Istanbul.
Lì vissero per dieci anni, ma al trauma subito in carcere, si aggiunse quello della miseria e dell’alienazione della vita in una grande città.
Qui le furono arrestati due figli.
In seguito, decisero di trasferirsi a Diyarbakir, anche perché fu loro vietato tornare al proprio villaggio.
Lei si è dovuta sottoporre ad una terapia riabilitativa fisica, in quanto la tortura le aveva causato lo strappo dei muscoli delle spalle e delle gambe; ma anche ad una cura psicologica, perché, a volte, le sembrava di rivivere l’atroce esperienza della tortura.
Attualmente, sia il figlio che la figlia, sono sulle montagne, nella guerriglia del Pkk.

La delegazione, dopo aver consegnato il denaro equivalente a dodici affidi, si è impegnata ad aggiungere pure queste due famiglie nella lista