domenica 17 ottobre 2010



Terzo giorno di udienza, Processo Diyarbakir








20 ottobre 2010

Verso le 10, dopo le perquisizioni personali oggi più approfondite del solito, entriamo nell’aula bunker. Avvertiamo immediatamente un clima assai più teso e cupo dei giorni precedenti. Il presidente apre l’udienza con l’appello degli imputati che rispondono in kurdo “li virim” “presente”.
Gli avvocati danno la loro presenza ed uno di loro parla in kurdo. Prende immediatamente la parola l’avv. Ercan Kanar, protestando fermamente sulle modalità di svolgimento del processo. Contesta in particolare la presenza in aula del reparto speciale di polizia antiterrorismo in aggiunta agli agenti di polizia penitenziaria che circondano completamente gli imputati, isolandoli dai difensori posti ai lati e dal pubblico alle loro spalle: “La massiccia presenza della polizia antiterrorismo viola il principio di democrazia che qui bisogna rispettare, tale schieramento esercita una pressione non solo sulla Corte ma sugli stessi imputati, già provati dalla lunga detenzione in regime speciale; pressione aggravata dalla presenza di due assistenti del pubblico ministero non previsti dal codice di procedura penale, la cui presenza ha l’effetto di ampliarel’accusa. 


Vi abbiamo anche chiesto di non leggere l’atto di accusa, che tutti conosciamo, e voi continuate, perdete inutilmente tempo, abbattendo l’umore degli imputati, che vedete come oggetti e non come soggetti”.
Nel silenzio della Corte, che non degna di risposta gli avvocati neppure sull’istanza di scarcerazione avanzata ieri, il PM ricomincia imperterrito a leggere l’atto d’accusa come se non avesse ascoltato nulla, mentre le forze dell’odine presenti in aula intensificano il via vai con frequenti cambi della guardia, con l’effetto di aumentare la presenza delle forze dell’ordine disorientando imputati, difensori e pubblico.
Fino a quando erano presenti i parlamentari e le delegazioni internazionali, tra la Corte da un lato e i difensori dall’altro sembrava ci fosse una certa interazione, ma da oggi è palese un muro contro muro, un dialogo tra sordi. Gli avvocati fanno istanze e proteste, la Corte finge di non aver sentito, il presidente fa l’appello e gli imputati rispondono in kurdo. La lettura del PM assopisce l’aula ed un’altra udienza passa inutilmente per la difesa, ma profiquamente per l’accusa che mira a mantenere in carcere gli imputati il più a lungo possibile.
In "sala avvocati" incontriamo uno dei difensori degli imputati l’avv. Dogan Erbas, membro del collegio di difesa di Ocalan il quale gentilmente risponde alle nostre domande. Ci spiega che dopo la lettura dell’atto d’accusa gli imputati faranno le loro dichiarazioni, che ci anticipa saranno in kurdo, aggiunge che questo stesso collegio tre mesi fa aveva acconsentito, in un processo analogo, a carico di un avvocato, che l’imputato si esprimesse in lingua kurda con l’ausilio di un inteprete, crede che in questo caso ciò non sarà possibile anche per il gran numero di imputati. 
Nel caso in cui gli imputati si esprimano in kurdo senza il consenso della Corte le loro dichiarazioni potrebbero essere reputate non utilizzabili nella migliore delle ipotesi; nella peggiore, la Corte potrebbe ordinare l’allontanamento dall’aula degli imputati che sarebbero accusati di intralcio alla giustizia.
L’avvocato ribadisce poi la valenza politica di questo processo su cui pesa la presa di posizione del Governo in relazione alla questione kurda.
Gli chiediamo quanto tempo hanno avuto per preparare la difesa e lui risponde che, dal momento in cui hanno potuto vedere tutti gli atti del processo, sono passati 4 mesi, che hanno organizzato un collegio di difesa e ciascun avvocato si è occupato della posizione di alcuni imputati, fermo restando il raccordo con gli altri colleghi.
Si dice pessimista sui tempi e sull’esito della richiesta di scarcerazione, come pure sull’esito finale del processo.
L’avv. Dogan Erbas ci dice che non sono previsti termini massimi di custodia cautelare in carcere, per cui gli imputati in attesa di giudizio possono rimanere in stato di detenzione anche per molti anni.

I reati contestati ad alcuni imputati sono “separatismo”; ad altri “favoreggiamento al reato di separatismo attraverso azioni di propaganda e sostegno”, ad altri ancora il reato di “partecipazione a manifestazioni non autorizzate”.A suo parere le condanne saranno molte. La pubblica accusa ha richiesto per 10 imputati la pena dell’ergastolo; per altri 25 imputati una pena dai 15 ai 35 anni; per un gruppo tra le 30/35 persone la condanna da 5 a 15 anni di reclusione, per i rimanenti da 3 a 5 anni, e comunque il numero di condannati sarà circa un centinaio.
In merito alle domande su Ocalan l’avv. Dogan Erbas riferisce che il CPT (Comitato per la Prevenzione della Tortura) ha pubblicato di recente un rapporto sulle condizioni di detenzione di Ocalan nel quale, pur rilevando alcuni piccoli miglioramenti, ha evidenziato che le condizioni carcerarie non si sono conformate alle loro precedenti raccomandazioni: i detenuti inviati ad Imrali avrebbero dovuto essere 99 e non 5, le ore di socializzazione avrebbero dovuto essere 90 settimanali, come nelle altre carceri, non 35. 
Ocalan può avere accesso alla lettura di un quotidiano solamente il martedì ed il venedì tra i due scelti dalla direzione carceraria. L’ascolto della radio è limitato ai canali di Stato. La nuova cella di Ocalan ha le stesse dimensioni della precedente pari a 12 mq, è priva di luce naturale, nelle sole due ore d’aria giornaliere ha accesso ad un cortile, nel quale non arriva il sole perchè circondato da alte mura sormontate da una fitta rete metallica.
Le visite mediche sono effettuate da un medico generico sempre diverso per cui è impedito un rapporto personale medico-paziente ed in caso di necessità manca la possibilità di un pronto intervento.
Rispetto al passato i familiari e gli avvocati hanno minori difficoltà a raggiungere l’isola.
Il ricorso alla Corte europea sulle condizioni di detenzione di Ocalan è stato dichiarato ricevibile ed il Governo turco e gli avvocati hanno già depositato memorie e repliche richieste e si è in attesa della decisione. L’avvocato ritiene che l’applicazione della auspicata decisione favorevole della Corte dipende da quanto l’opinione pubblica internazionale sarà attenta ed incisiva nell’indurre il Governo turco ad adempiere. L’attività dei difensori viene di fatto costantemente ostacolata con processi e condanne a loro carico.